Libero, 19 aprile 2016
La demenziale parabola del dibattito sul referendum in sei punti
Il riferimento di Matteo Renzi agli «addetti ai lavori che vivono sui social network e nei salotti televisivi» (in tv, domenica sera, a urne appena chiuse) purtroppo appare fondato, e va ben oltre il ruolo informativo e di orientamento che pure i media hanno svolto. Lo dimostra proprio la demenziale parabola del dibattito sul referendum nelle scorse settimane, apparso «politicizzato» oltre il patologico.
1) I primi a valutare un significato prevalentemente «politico» del referendum erano stati giusto i promotori, consapevoli della scarsa significanza degli esiti del voto (comunque andasse) al punto da definirlo «immediatamente politico» affinché desse «un segnale» contrario all’utilizzo di gas e petrolio. Un segnale per aumentare la consapevolezza sulle fonti rinnovabili: questo l’obiettivo dichiarato. E sin qui fregava poco a tutti, perlomeno tra i giornalisti.
2) Da un certo punto in poi, la tv è entrata nella questione: ma il dibattito, dapprima tecnico, è passato da troppo semplicistico a troppo complesso. Le scarne certezze si sono dissolte, e i pro o contro il referendum sulle trivelle (che non era neppure sulle trivelle, se si intende la possibilità di fare nuove perforazioni) hanno lasciato chiaramente percepire che le decisioni fondamentali sulla politica energetica vengono prese altrove, e insomma non dipendevano dal voto del 17 aprile.
3) Il generico messaggio ambientalista pian piano si è dissolto, e i media hanno cominciato a trattare il referendum come un più esteso referendum contro il governo Renzi: una politicizzazione ben diversa da quella che i promotori del referendum sulle trivelle (o parte di essi) avevano auspicato. I toni si sono accesi, e la questione energetica o ambientale è finita progressivamente sullo sfondo.
4) In particolare, il referendum è divenuto un referendum sul referendum costituzionale che ci sarà nel prossimo autunno: un non-senso secondo il quale esprimersi sulle trivelle doveva servire a esprimersi sul superamento del bicameralismo paritario e sul superamento del Senato, o più semplicemente doveva servire a far cadere Renzi in ottobre. Anche il semplice non voto (sulle trivelle) veniva pubblicamente equivalso a una contrarietà alla riforma costituzionale: e di ciò hanno discusso politici, giornalisti e insomma addetti ai lavori. Una presunta resa dei conti Stato-regioni e la prefigurazione di battaglie interne al Pd (vedi il governatore Michele Emiliano versus Renzi) hanno ingrossato la piena. La questione energetica o ambientale finiva sempre più sullo sfondo.
5) Gli interventi di Renzi, Napolitano, Grossi e Boldrini sulla facoltà di astenersi (o meglio: sull’esortazione ad astenersi) aggiungevano una patina serioso-istituzionale a una discussione sempre più aerea. Votare sulle trivelle perché si ha un’opinione sulle trivelle non era quasi più contemplato: di fatto chi avesse votato contro le trivelle veniva equivalso a chi avesse votato contro Renzi, mentre chi si fosse astenuto veniva equivalso a un sostenitore del governo: qualsiasi altra lettura appariva di second’ordine perlomeno secondo giornali, talkshow e social network. Va da sé che anche il venturo referendum costituzionale ora viene già definito «referendum su Renzi» (ma senza quorum) e non un referendum su una materia costituzionale.
6) A urne chiuse la sconfitta dei referendari era nettissima (31,2 di media, con nessuna regione che raggiungeva il quorum) ma il governatore della Puglia riusciva a dire «abbiamo stravinto» e tutto di conseguenza. I commenti dei media si concentravano soprattutto sulla valutazione del voto (chi ha vinto, chi ha perso) e su eventuali riflessi sulle prossime elezioni amministrative e sul vacante ministero dell’Industria. E i Sì e i No del referendum venivano conteggiati e paragonati a consultazioni politiche precedenti. La questione energetica o ambientale, intanto, non si era più mossa dallo sfondo. Marino. Con certo coraggio, durante un paio di talkshow, qualche giornalista osservava intanto che gli italiani – gli italiani, non i giornalisti – avevano mostrato una scarsa sensibilità ambientale.