Corriere della Sera, 19 aprile 2016
Il caso di Linda Laura Sabbadini, declassata dall’Istat proprio nel momento in cui veniva riconosciuta internazionalmente per la sua competenza. Una questione di gerarchie di genere
Il nostro è un Paese che non crede nel merito. Vecchie abitudini mentali rimasti da un’epoca feudale che fatica a morire? Paura del nuovo? Terrore dei cambiamenti? Sfiducia nelle classi dirigenti spesso inette e corrotte? Fatto sta che i migliori vanno via. E il paradosso è che dovunque vadano, questi italiani pieni di talento, fanno faville. Possibile che non siamo capaci di utilizzare in patria le menti che abbiamo saputo coltivare e crescere? Dove comincia l’errore? Chi può rimediare? Da dove cominciare? C’è una consapevolezza nazionale dell’errore che si continua a ripetere sfacciatamente?
Uno dei casi piu eclatanti è quello di Linda Laura Sabbadini, declassata dall’Istat con l’argomento del turn over. Parola ambigua che si presta a molte ingiustizie. Linda Laura Sabbadini è entrata all’Istat giovanissima, quando non era ancora laureata. Ha fatto enormi sacrifici per studiare e lavorare nello stesso tempo, passando da semplice impiegata a ricercatrice, vincendo tutti i concorsi nazionali, diventando uno dei direttori più apprezzati. Linda infatti è stata la prima – lei generosamente ripete che l’ha fatto con l’aiuto di tanti collaboratori preparati e appassionati – a costruire le statistiche di genere, inesistenti fino ad allora. Si è impegnata sulle discriminazioni per origine etnica e di genere, cercando di mettere in evidenza gli stereotipi culturali più comuni, indagando sul senso civico degli italiani, sui rapporti in famiglia, sull’atteggiamento verso i diversi, sulla situazione urbana, sui consumi energetici, ecc. Insomma ha rivoltato il metodo di ricerca che è passato dalla pura economia al sociale, collaborando con le varie associazioni civili quali la Caritas, il Centro nazionale del volontariato, i sindacati, le associazioni di categoria, la lega ambiente, il Wwf, Italia nostra, le comunità scientifiche, l’associazionismo femminile. Apprezzata per queste innovazioni, ha ricevuto incarichi internazionali, nelle commissioni europee, nell’Ocse, nei gruppi Onu che fanno indagini sulla violenza contro le donne e i bambini. È stata inserita nel volume delle 100 eccellenze italiane. Come in una farsa, proprio nel momento in cui veniva riconosciuta internazionalmente per la sua competenza è stata declassata: da direttrice è stata rimandata al ruolo di semplice ricercatrice. Un’azione anche simbolicamente grave, come dire alle donne: state attente, il valore non conta, contano le gerarchie di genere e noi sappiamo come farle rispettare.