Corriere della Sera, 19 aprile 2016
Quel grilletto facile dei poliziotti americani che ha fatto vincere il Pulitzer a Wesley Lowery del Washington Post per la sua inchiesta «Fatal force» (ma ha anche ucciso 990 persone in un anno)
Doppi complimenti al reporter del «Washington Post» Wesley Lowery. Per l’inchiesta «Fatal Force» sul «grilletto facile» dei poliziotti americani che nel 2015 hanno ucciso 990 persone in conflitti a fuoco, con la quale ieri ha vinto il premio Pulitzer del centenario nella categoria National Reporting.
E anche per il fatto di essere riuscito ad avere la notizia in anticipo e di averne parlato pubblicamente durante una festa nel weekend rompendo un tabù: ogni anno, infatti, i moltissimi candidati al Pulitzer, un premio articolato in 21 categorie, tacciono fino all’ultimo. Speranzosi e scaramantici, non vogliono nemmeno citare il nome dell’editore filantropo venuto dall’Ungheria che un secolo fa decise di creare, col suo patrimonio, un’istituzione capace di fissare una sorta di gold standard dell’informazione giornalistica. Un’atmosfera da incubo che ha spinto Roy Harris, un reporter che ha scritto spesso del Pulitzer, a soprannominarlo sarcasticamente Voldemort Prize.
Anche ieri suspence fino all’ultimo, nonostante le fughe di notizie sul «Washington Post» e la mano pesante della polizia.
Per gli altri premi principali sembravano in pole position le inchieste del «New York Times» sul reclutamento dei terroristi dell’Isis e quella del «Los Angeles Times» sui danni arrecati dai combustibili fossili all’ambiente. Invece il quotidiano californiano ha vinto un altro dei premi principali, quello sulle breaking news, ma con una storia diversa: premiato l’intero staff che ha raccontato il massacro di San Bernardino.
L’altro «top prize», quello per il servizio pubblico, è andato all’agenzia Associated Press che, in uno straordinario servizio dalla Thailandia, ha raccontato al mondo l’odissea degli schiavi-bambini costretti a pulire migliaia di gamberi che poi finiscono nei supermercati e nei grandi ristoranti americani.
Altro grande vincitore della giornata il «Tampa Bay Times», un giornale della Florida, che ha vinto uno dei premi più importanti, quello per il giornalismo investigativo (insieme al «Sarasota Times») con un’inchiesta sulle pessime condizioni delle cliniche per malati di mente dello Stato e ha avuto anche il premio per l’informazione locale con un’altra inchiesta – «Failed Factories» – dedicata al fallimento dei tentativi di integrazione nelle scuole delle cinque contee meridionali della Florida.
Premiata anche ProPublica, un’impresa giornalistica sostenuta da finanziatori filantropi, che ha denunciata la scarsa solerzia di alcune polizie nello svolgere indagini su casi di stupro.
Gloria anche per il «New York Times», ma solo nei reportage internazionali (premiata Alissa Rubin per quelli sulla condizione femminile in Afghanistan) e nel riconoscimento per la fotografia, diviso con l’agenzia Reuters, sul tema dei migranti.
Dato in gestione alla Columbia University, il Pulitzer è articolato in 21 premi: 14 per il giornalismo e sette per le arti, dal romanzo al dramma. Come nel caso degli Oscar cinematografici, ci sono artisti e giornalisti primatisti che hanno vinto il Pulitzer più volte: primatisti assoluto il drammaturgo Eugene O’Neill e due fotogiornalisti che hanno vinto quattro volte, seguiti (tre vittorie per il giornalismo scritto) da Thomas Friedman, David Bustow e Sari Horwitz.
Quanto alle arti, nella narrativa ieri ha vinto Viet Thanh Nguyen, premiato per il suo primo romanzo, The Simpathizer : un racconto tragicomico e anche un modo di affrontare il tema della guerra del Vietnam da un’angolazione nuova e sorprendente. Per la saggistica il Pulitzer è andato a Joby Warrick, un giornalista del «Washington Post», per il suo libro Black Flags: the Rise of the Isis.
Il premio per la poesia è andato a Ozone Journal di Peter Balakian, mentre nel teatro il premio generalmente assegnato a drammi e commedie, stavolta è andato, secondo le previsioni, al musical più acclamato dell’anno e, forse, del secolo: Hamilton di Lin-Maniel Miranda che sta spopolando da un anno a Broadway.