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 2016  aprile 19 Martedì calendario

In Kuwait scioperano, e tanto basta a evitare un nuovo crollo del petrolio

Alla fine, ad evitare un nuovo tracollo dei prezzi del petrolio – che ieri sono andati giù del 7% per poi chiudere (il brent) con un più contenuto -0,4% a 42,9 dollari al barile – è stata sufficiente la notizia dello sciopero che sta bloccando all’incirca il 60% della produzione del Kuwait. Tanto è bastato al mercato per mettersi dietro le spalle il fallimento del vertice di Doha sul congelamento dell’output, un esito ampiamente prevedibile e ampiamente previsto dagli analisti. 
Che cosa accadrà adesso? La domanda è sempre quella. Per il momento pare sventata, almeno nel brevissimo termine, l’eventualità che il barile possa ridiscendere la china verso i livelli minimi di 27 dollari toccati solo alla fine dello scorso gennaio. Altrettanto certamente si può sostenere che a farla da padrone ancora per un po’ sarà la volatilità, un andamento scostante secondo le notizie di giornata. D’altronde, come ricordava il Ceo di una grande compagnia petrolifera, basterebbe ricordare che se negli anni 90 per ogni barile fisico c’erano dieci barili di carta, nel 2000 si era arrivati a venti e ora il rapporto è un barile «vero» ogni settanta di carta. Soprattutto, gli investitori istituzionali «lunghi» hanno lasciato spazio alle posizioni «corte» degli hedge fund, e alle loro tendenze speculative di breve termine. 
Non resta, quindi, che guardare a quanto accade sul mercato petrolifero reale, e cercare di trarne qualche indicazione. Anche un’intesa sul congelamento, si sosteneva a ragione, non avrebbe cambiato più di tanto le carte in tavola: sulla strada del «ribilanciamento» restano pur sempre una sovracapacità produttiva e un’abbondanza di scorte da riassorbire che non lasciano dubbi sulla situazione effettiva. Ma se si dà retta all’Agenzia internazionale dell’energia qualche segnale verso un nuovo futuribile equilibrio è riapparso: la produzione di olio non convenzionale da parte degli Usa sta iniziando a calare. Tight oil e shale oil Usa sono stati la causa prima dell’attuale situazione. Se così stanno le cose il vento potrebbe essere cambiato, Cautela vuole però che si debba aspettare ancora qualche mese per esserne sicuri.