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 2016  aprile 19 Martedì calendario

Analisi dell’autogol assurdo e modernissimo di Andrea Consigli

Che tutto sia moderno, per favore, anche gli errori. Quello di Andrea Consigli, per esempio, sta dentro il nuovo canone. Un retropassaggio – lo chiamano giro palla basso – un controllo, e poi un tocco che se fossimo in un fumetto farebbe swoosh. Così contemporaneo, questo gesto del povero portiere del Sassuolo, che ancora non ha un nome. Papera no, papera sa d’antico. È roba del Novecento, inadatta al neocalcio. 
Papera è un pallone che s’infila sotto la pancia, è goffaggine, impaccio, insicurezza. È Arconada che si fa passare sotto il corpo un calcio di punizione di Platini, nella finale degli Europei ’84. Questa di Consigli tutto è tranne che mancanza di confidenza. È il suo opposto, casomai. Pàparo, cioè balordo, fu invece per primo Vittorio Faroppa, portiere torinese del Piemonte, che a 25 anni debutta in Nazionale contro la Francia e sbaglia quattro prese. Quattro gol per loro, siamo nel 1912. «Stava in porta con i piedi larghi, sembrava una papera», commenta uno dei c.t., Umberto Meazza, commerciante di vini e pure arbitro, per divertimento. Antonio Ghirelli, in un dizionario del dialetto napoletano, spiegherà che la papera è un animale che va nel panico, «come certi portieri sui tiri da lontano», anche i migliori, tipo il tedesco Kahn in finale ai Mondiali 2002 contro il Brasile. Il lessico del calcio esige certezze. Qui siamo dinanzi a una ciabattata, un liscio, una svirgolata. Ma è terminologia per terzini, al massimo mediani. Lirico dev’essere l’errore di un portiere, che infatti una volta usciva a farfalle. Alla Zenga su Caniggia nella semifinale dei Mondiali ’90. Gli spagnoli dicono: a prendere l’uva. Ma è uguale. Quel disastro là. Le braccia alte, l’aria afferrata al posto del pallone, l’errore numero uno di ogni numero uno. Un classico. Una cappellata, secondo i più arditi. Una pifiada, in Spagna: dal sibilo che nel gioco del biliardo produce la stecca quando manca l’impatto con la palla. Oppure una cantada, come i suoi errori chiama Casillas, perché un cante (di flamenco) pretende attenzione, non passa sotto silenzio. Howler, dicono gli anglosassoni, vale a dire urlatore, e dunque un abbaglio così clamoroso da indurre al grido. È finanche il nome dato negli Stati Uniti a un magazine trimestrale che racconta il modo in cui guardiamo il calcio. Forse perché l’errore è un’esperienza letteraria, «solo l’errore è vita, la conoscenza è morte» (Fontane, Germania, ruolo: poeta).
Di vita in Consigli ne scorre allora parecchia. Come in Padelli (stesso gesto un anno fa in Torino-Empoli), come in tutti i portieri di questo calcio così cambiato dal ’90, con regole ritoccate per tutelare gli attaccanti, e sempre meno disposte a proteggere chi difende. I portieri, non ne parliamo. Hanno dovuto imparare a buttar via con i piedi il passaggio all’indietro di un compagno, poi gli hanno chiesto perfino di cominciare a costruire l’azione. Volgarità. Yann Sommer, lo svizzero del Borussia Moenchengladbach, viaggia a una media di 40 passaggi a partita. Certe volte più del centravanti. Consigli è intorno ai trenta. Higuain ha una media di ventisei. Ma per fortuna Consigli la butta in porta meno di Gonzalo. Senza più papere e farfalle, col pallone sempre tra i piedi, il portiere è meno solo e troppo uguale a noi. Cerchiamo almeno un nome magico per i suoi nuovi errori.