Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 19 Martedì calendario

C’è troppo petrolio, ormai viene conservato sulle navi con tutti i rischi del caso

«Per il petrolio è ricominciata la via al ribasso. Non mi stupirei se prima della fine dell’anno la quotazione del Brent scendesse al di sotto dei minimi di gennaio, circa 27 dollari, e solo nell’anno prossimo ricomincerà un lento recupero. E per fine decennio il valore può arrivare a 65 dollari ma non di più». Leonardo Maugeri, docente di Economia dell’energia ad Harvard, già vicepresidente dell’Eni, è tutt’altro che stupito: «Il vertice di Doha è finito come era logico che finisse. Troppo profonda la rivalità fra Iran e Arabia Saudita, malgrado che il ministro di Riad, Al Naimi, fosse genuinamente intenzionato a raggiungere un accordo. Ha prevalso la volontà del principe ereditario Mohamed, l’uomo forte saudita».
Ad essere danneggiati sono però anche gli americani: possibile che non riescano a far sentire la loro voce?
«Sfatiamo un lungo comune. I giganti dello shake oil – Eog, Continental Resources, Apache, Whiting Petroleum – continuano malgrado tutto a fare profitti e ad assorbire i produttori minori, questi sì a volte in difficoltà. Nell’aprile 2015 è stato raggiunto il picco della produzione di shale oil con 5,1 milioni di barili, e questa è scesa di non più di 700mila barili. L’80% della produzione di shale oil Usa ha un break-even di circa 30 dollari a barile. Le produzioni con break-even superiore a 65 dollari non sono più del 2% del totale. E dire che i sauditi, che puntavano con il petrolio a 75 dollari al dimezzamento della produzione americana».
Ma perché c’è tanto petrolio nel mondo?
«Perché fra il 2010 e il 2014 sono stati fatti più investimenti che mai nella storia. Nel solo 2014 sono stati investiti nell’esplorazione oltre 750 miliardi di dollari. Anche nel decennio precedente la ricerca di nuovi pozzi ha marciato a ritmi forsennati. Ora, visto che gli investimenti non si possono fermare a meno di perdite paurose, non c’è altro da fare che mandare in produzione i nuovi pozzi. Paradossalmente la produzione mondiale continua ad aumentare: era di 98,5 milioni di barili al giorno nel gennaio scorso, sarà di 99,5 milioni nel gennaio 2017. Almeno 4-5 milioni di barili in più della domanda. Gli stoccaggi in tutto il mondo sono colmi fino all’orlo, ormai il petrolio viene conservato sulle navi con tutti i rischi ambientali del caso».
Ormai l’equazione petrolio basso-borse deboli-deflazione sembra strutturale: cosa deve accadere per recuperare?
«Gli accordi si è visto come sono difficili. Solo gravissime crisi geopolitiche, tipo una destabilizzazione dell’Arabia Saudita, possono alterare questo scenario fosco per i produttori di petrolio. Ma attenzione: storicamente, le crisi geopolitiche hanno avuto grande incidenza sui prezzi del petrolio quando la capacità produttiva non utilizzata (”spare capacity”) era bassa. Oggi ci sono quasi 5 milioni di barili di capacità non utilizzata per decisioni politiche o per situazioni di crisi (pensate alla Libia), che si aggiungono a tutta la produzione in eccesso. In queste condizioni è davvero difficile ipotizzare una soluzione».