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 2016  aprile 16 Sabato calendario

Kevin Costner alle prese con i suoi sette figli

Sono in sette a chiamarlo papà. Kevin Costner è attore, regista, produttore, musicista rock. E padre prolifico. «La gente mi conosce per il cinema, ma il personaggio pubblico non sono io. Quella non è la mia vita, è solo un lavoro. La mia vera occupazione è portare i figli a scuola, insegnare loro i valori della vita, sfidarli, fare la lotta, prepararli a quando non ci sarò». Le priorità tra carriera e famiglia sono chiare: «Sono stato fortunato a fare l’attore. Ma non è ciò che mi definisce come uomo, né è importante nel rapporto con i miei figli. Quello che è importante e mi caratterizza ai loro occhi è il tempo che riservo loro, l’attenzione, l’amore».
Le unioni sentimentali che hanno scandito la vita del divo di Balla coi lupi, oggi sessantunenne, sono state tre. Il primo matrimonio con la compagna di college Cindy. Da cui sono nati Annie, 33 anni, Lily, trenta, e Joe, ventotto. Dalla relazione, breve, con Bridget Rooney è nato invece Liam, oggi ventenne. Nel 2004 le ultime nozze con Christine, 19 anni più giovane. Ecco Cayden, quasi nove anni, Hayes, sette e Grace Avery, sei.
Kevin Costner ha il fare pacato di chi, scavallati i sessanta, ha messo la giusta distanza tra sé e il circo di Hollywood. Spiega, in una mattina assolata nell’albergo con affaccio su Piazza Barberini, che ormai non gira più di un film ogni anno, anno e mezzo. «C’è chi ne mette in cantiere cinque. Io non potrei – ragiona – ho bisogno di scegliere, ho bisogno di credere, ho bisogno di spazio per la vita vera e per la famiglia. Per i miei figli». Come molti colleghi dello show business è convinto che è meglio girare uno spot lucroso, ieri le scarpe, oggi il tonno (non dev’essere facile mantenere la schiera di ex mogli e figli), piuttosto che mettere la faccia in un brutto film. «Ciò che fai sullo schermo resta per sempre, non lo puoi cancellare. E allora bisogna scegliere. Una volta ogni film era un sipario che si apriva e dietro sapevi che poteva esserci la grandezza, oggi non più». Il suo criterio è semplice: «Non credo in chi misura un’opera dall’esito al box office nel primo fine settimana. È il tempo che giudica. Se cinque, dieci anni dopo quel film è rimasto, ed è ancora capace di coinvolgere e commuovere il pubblico. Io ci metto tutto quello che sono, per rispetto a chi crede in me. Non scelgo ciò che mi mantiene popolare ma quello che mi piace».
Nel nuovo thriller, Criminal, interpreta uno squilibrato che ha vissuto in prigione ma che, complice il trapianto di memoria di un agente morto, attraverso i ricordi e i sentimenti dell’uomo verso la sua famiglia scopre la vita e l’amore.
«È un personaggio molto onesto, anche nella sua violenza e nella sua scoperta della vita. Ha vissuto sempre in prigione, ora sperimenta tante prime volte, come un bambino. E alla fine ti ritrovi a sorridere con lui anche se è un criminale». Quel criminale ferma per la prima volta la sua rabbia quando incontra la figlia dell’uomo di cui possiede i ricordi. Intreccia con la bimba un affettuoso rapporto e sarà lei a guidarlo verso una nuova vita. «Al centro della mia ci sono i bimbi. Me li godo, mi diverto a giocare con loro, gioco anche duro. E parlo, tanto, con loro. Di cose che ritengo possano capire. Li sfido a confrontarsi, non tirarsi indietro. Senza mettere troppa pressione». Il momento preferito della giornata «è quando siamo insieme in macchina. Se sono a casa non manco mai, nemmeno un giorno. E vado a prenderli a scuola con mia moglie. Sulla strada del ritorno facciamo grandi chiacchierate. Accendo il notiziario e prendo spunto dalle notizie del giorno. Chiedo loro di commentare, di interpretare quello che hanno appena sentito».
Non solo parole: Kevin Costner è un attore e un uomo fisico. «I miei figli si divertono a combattere. Non vedono l’ora di arrivare a casa per fare la lotta. Prima facevamo loro tre contro uno, me. Ora Cayden, quasi nove anni, pensa di farcela da solo, dice ai fratelli, “lasciatelo a me”». Costner sorride. E dice: «Mi sto godendo i loro progressi, la loro gioia, i piccoli successi e i fallimenti. Il loro percorso di crescita e formazione».
È un padre sessantenne consapevole: «Per me è importante allevarli in modo che nella vita ciascuno si prenda cura dell’altro. Perché io non ci sarò per sempre e voglio sapere che dopo saranno solidali gli uni con gli altri. Ho insegnato ai miei figli a trattarsi con amore, l’uno con l’altro. E ho spiegato loro come fare a risolvere i problemi. Perché so già che ce ne saranno e non voglio lasciare spazi vuoti nella loro educazione». Se gli si chiede come vorrebbe essere ricordato dai propri figli risponde: «Vorrei che ricordassero che ho insegnato loro a condividere la propria buona sorte. Perché hanno avuto la fortuna di nascere in una famiglia che li ama e ha dato loro una libertà finanziaria che molta gente non possiede. Le cose buone che mi sono successe nella mia vita le ho sempre condivise. Intorno alla mia casa non ci sono mai stati muri, la porta è sempre aperta per gli amici e con loro ho condiviso tutto. Condividere è qualcosa che aiuterà i miei figli a non rinchiudersi».
Sul fronte delle memorie, il momento migliore della sua carriera non è stato il palco degli Oscar, per le sette statuette conquistate per Balla coi lupi.
«La felicità pura è stata quando cui fui ingaggiato per Il grande freddo. Capivo che la mia carriera stava prendendo la direzione giusta. Quando le mie scene sono state tagliate, la gente era stupita che non fossi arrabbiato. Certo, avrei voluto esserci, ma sapevo, prima ancora che quel film arrivasse in sala, che mi ero incamminato per la strada giusta. Non molti hanno la capacità di percepire le cose buone della vita. I miei ricordi felici sono legati all’inizio della carriera, le piccole cose che mi eccitavano, quando ho iniziato a fare progressi. Anche ora penso di essere un attore migliore di tre anni fa». Anche a fare il padre si migliora con il tempo? «So che a tutti i miei sette figli ho sempre dato tutto il tempo che potevo, che consideravo necessario».
Kevin Costner non è un padre che lotta per stare al passo con la modernità: «Non gioco ai videogame, non so nemmeno come funzionano. Con tutti i miei figli pratichiamo sport. Facciamo immersioni nell’oceano, porto la famiglia in montagna, lasciando che sperimentino un modo diverso di vita. E mi diverto a costruire case: ai tempi del college facevo il carpentiere, per pagarmi gli studi di recitazione. Mia nonna, quando avevo quattordici anni, mi ha regalato un fucile, mia madre non voleva, ma lei disse che imparare a usare le armi era un atto di responsabilità, e io non le ho mai usate in modo irresponsabile».
Oggi l’America è dominata dalla tecnologia: «Quando vedo i miei figli alla tv, ai tablet, li sfido. I miei figli sanno che se vogliono giocare con me devono venire all’aperto, sul prato. E mettersi in gioco, lottare con il loro vecchio padre che ancora si difende».