La Lettura, 17 aprile 2016
Tags : Visegrad Unione Europea
Wroclaw sarà la capitale mondiale del libro per una notte
La notte del 23 aprile la città polacca di Wrocław, che i tedeschi chiamano ancora Breslau e gli italiani Breslavia, avrà un nome solo, Bibliopolis. Quella notte Wrocław, che quest’anno è capitale europea della cultura insieme con la città spagnola di San Sebastian, sarà anche la capitale mondiale del libro e del diritto d’autore, un titolo che dal 2001 l’Unesco assegna ogni anno a una o più città del pianeta. La prima volta fu scelta Madrid, nel 2006 toccò a Torino, finora l’unica città italiana, e quest’anno ecco la sorpresa di Wrocław, che è come se la squadra di calcio del Leicester vincesse il campionato inglese e la Champions League nella stessa stagione.
Bibliopolis-Wrocław celebrerà la sua Notte della Letteratura trasformando ogni libreria, ogni chiesa, ogni ristorante, ogni parco in un luogo dedicato alla lettura. Attori, poeti, scrittori, personaggi celebri, austeri accademici e persino perfetti sconosciuti di talento leggeranno in pubblico fino all’alba poesie, romanzi, racconti, saggi. La parola scritta, il libro, proprio nel cinquecentesimo anniversario della morte di Aldo Manuzio, che con la stampa a caratteri mobili di Gutenberg «inventò» il libro moderno, riaffermeranno la propria freschezza nei confronti del mondo «liquido» e invasivo di internet, web, tablet e smartphone. Ma soprattutto, e questa è la sfida più importante, cercheranno di dimostrare che la cultura sta «sopra» la politica e può risolvere problemi che la politica non è in grado di risolvere. «Per centrare questo obiettivo non poteva esserci scelta migliore di questa città, crocevia di popoli e di culture», dice Arkadiusz Förster, responsabile della comunicazione per Wrocław 2016, polacco «ma anche» ucraino.
Non è la prima volta che una città della Polonia viene selezionata come capitale europea della cultura. Ma scegliere Cracovia, nel 2000, fu più facile, per la storia, le opere d’arte e il peso politico di quella città. Oggi, l’idea di puntare su Wrocław è di una forza simbolica enorme, perché questa città della Bassa Slesia è sempre stata contesa e spartita da austriaci, tedeschi, russi. Venne quasi distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, che invece risparmiarono Cracovia, ed è rinata con una volontà e una pazienza rare. Ha subìto migrazioni forzate – come quella dell’ultimo dopoguerra, quando la popolazione tedesca è stata mandata via per far posto ai polacchi, a loro volta cacciati dai russi – ma non ha mai smarrito la sua natura di «città», prima che di città polacca. E ha continuato ad accogliere tutti sotto lo stesso tetto – cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei – e a rispettare ognuno, fosse di «etnia» ucraina o magiara, slovacca o ceca, lituana o estone, greca o romena, spagnola o italiana.
Certo, gli ebrei, qui – e basta un nome, Auschwitz – hanno subìto più di tutti gli effetti nefasti della volontà di potenza dei protagonisti macabri del XX secolo, ma anche le popolazioni di Wrocław, di Cracovia e dell’intera Polonia hanno pianto i loro morti, e spesso per la sola ragione di non essersi voltate dall’altra parte, sia nei lager di Hitler sia nei gulag di Stalin. Ecco perché avere scelto come capitale europea della cultura «questa» città è per la Polonia un’autentica scelta europeista. Un’occasione per dimostrare come le tante anime, le tante lingue e le tante culture della vecchia Europa siano invece ancora giovani e possano e debbano stare insieme, cercando quell’«unità nella diversità» che non passa necessariamente attraverso l’unità monetaria e che, anche se può suonare un po’ retorica, è l’unica strada per non tornare indietro.
E infatti, più che sulla moneta unica, che anzi è vista come un pericolo per un’economia cresciuta del 45 per cento negli ultimi dieci anni grazie anche al cambio tra złoty ed euro, qui si preferisce puntare soprattutto sull’istruzione e sulla formazione per realizzare il sogno di quell’integrazione europea che, fin dal 1965, era stato l’orizzonte indicato dal cardinale Boleslaw Kominek. Il quale, con la sua famosa lettera aperta ai tedeschi («Vi perdoniamo e chiediamo perdono») – parte di una mostra a lui dedicata nei Musei vaticani l’anno scorso, che ora è alla Camera dei deputati di Berlino e dal primo maggio sarà al museo civico Arsenal di Wrocław – tracciò la strada che poi sarebbe stata percorsa da Karol Wojtyła, prima come arcivescovo di Cracovia e poi come Papa Giovanni Paolo II.
Istruzione e formazione significano scuola, università. E a Wrocław gli studenti universitari sono circa 40 mila su una popolazione di 635 mila abitanti. Una vera forza. Economica e intellettuale. Una ragione in più, dice Förster a «la Lettura», «per destinare maggiori risorse e nuovi spazi alla cultura e alla bellezza, cose che rimarranno anche dopo Wrocław 2016».
L’operazione capitale europea della cultura, finanziata con tre miliardi e mezzo di złoty, all’incirca 900 milioni di euro, un terzo dei quali fondi europei, è soltanto una delle «grandi strade» attraverso le quali, negli ultimi cinque anni, Wrocław è molto cambiata, ovviamente in meglio. È stato così anche per il resto del Paese. L’Europa ha molto contribuito alla ripresa della Polonia, che pur facendo parte della Ue soltanto dal 2004 (nel 1999 è entrata nella Nato e nel 2007 nell’area Schengen) è finora il Paese europeo che più di tutti gli altri ha goduto dei fondi Ue: 100 miliardi di euro nel settennio 2007-2013 e 106 per il 2014-2020.
Devono averne sprecati pochi, a giudicare da come vengono tenute non solo città quali Cracovia e Wrocław, ma anche borghi più defilati. Come Duszniki-Zdrój per esempio, al confine con la Repubblica Ceca, dove si trova un interessante Museo della carta, con una cartiera risalente al 1605 dichiarata monumento nazionale, che per Wrocław capitale mondiale del libro è manna dal cielo. Wrocław stessa si presenta pulita, curata, ordinata, non solo nel centro storico, con la stupenda piazza Rynek, rinascimentale e barocca, ma anche nelle periferie, dove i bloc di fattura sovietica vengono ristrutturati, ridipinti e reinseriti nel corpo della città con nuove strade e servizi che li sottraggono a un destino di quartieri dormitorio.
Ma è sempre l’università il più efficace biglietto da visita di Wrocław. Non solo per la tradizione di eccellenza che la contraddistingue fin dalla sua fondazione – fu voluta dall’imperatore d’Austria Leopoldo I nel 1702 – e per i tanti studiosi premiati con il Nobel che qui si sono formati e hanno insegnato, ma anche per la cura materiale delle strutture che ospitano le diverse facoltà. Tra quelle più vecchie e quelle nuove, dal centro storico ai quartieri moderni, è una sequenza continua di manutenzioni, ristrutturazioni e nuove costruzioni. C’è l’Ateneo – con la magnifica Aula leopoldina, gioiello barocco di Franz Joseph Mangoldt, e con l’Oratorium Marianum, affrescato nel XVIII secolo da Johann Christoph Handke – e c’è il nuovo Politecnico, che spicca sulla riva dell’Oder, fiume possente, «cucito» alla città da dodici piccole isole e dodici grandi ponti, una caratteristica che, assieme all’architettura dei suoi edifici più belli, ha portato i polacchi a definire Wrocław «la Venezia della Polonia».
Tuttavia il legame culturale di Wrocław e della Polonia con l’Italia e con l’Europa è ben più profondo del suggestivo accostamento a Venezia. «È un legame fondato su tre pilastri che si chiamano Grecia, Roma, cristianesimo, e cioè bellezza, diritto, considerazione dell’altro», ci dice Marek Krajewski, che insegna Latino, Greco e Letteratura comparata all’Università di Wrocław ed è uno dei più noti scrittori polacchi (in Italia, Einaudi ha pubblicato Morte a Breslavia, La fine del mondo a Breslavia e Fortezza Breslavia ). Per questa ragione, sostiene Krajewski, la crisi dell’Europa è solo una parentesi, «anzi, un’opportunità per crescere, e in ogni caso per noi è meglio questa “crisi” del nostro passato comunista, grigio, plumbeo, in cui eravamo poveri e senza alcuna fiducia nel futuro».
La crisi di cui si parla riguarda soprattutto il flusso verso l’Europa di migranti e rifugiati. Al centro delle polemiche c’è proprio la Polonia, che con Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia forma il cosiddetto Gruppo di Visegrad (dalla cittadina ungherese in cui venticinque anni fa venne stipulato questo patto di collaborazione). I quattro Paesi non vogliono saperne di accogliere i profughi e chiedono a Bulgaria e Macedonia di fare ciò che secondo loro non fa la Grecia, cioè chiudere le frontiere, pena la sospensione del trattato di Schengen. Per Marek Krajewski questa è «politica» e i contrasti, anche se forti, sono soltanto turbolenze. «La Polonia senza l’Europa – aggiunge Krajewski – non va da nessuna parte. Lo capì per primo il cardinale Kominek cinquant’anni fa, non possiamo non capirlo anche noi oggi. Ma usare questi argomenti per dire che in Polonia non ci sia libertà di parola e di pensiero è un’esagerazione».
A luglio, in Polonia arriverà Papa Francesco. Varsavia, Cracovia e Wrocław si vestiranno a festa. E forse già immaginano cosa verrà a dire il successore di Giovanni Paolo II nel Paese scelto per celebrare la cultura e i libri.