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 2016  aprile 17 Domenica calendario

Caterina Caselli e i cinquant’anni di Nessuno mi può giudicare

Buongiorno e buon compleanno, gentile signora Caterina.
Caterina Caselli gradisce. Ma aggiunge: «Grazie, ma diciamo che ho festeggiato sette volte gli anni del mio nipotino Nicola che ne ha dieci». Sembra un verso come quelli contorti del suo amico Paolo Conte. Ma si può tentare di rimediare subito: «No, guardi, qui a “la Lettura”, volevamo festeggiare i cinquant’anni di Nessuno mi può giudicare». «Ah, bene. E allora cominciamo da lì».
Datele la parola, alla mitica Caterina, e sarà difficile togliergliela. Quindi ascoltiamola senza farci problemi di tempi e di luoghi. «Io sono come la mia terra. Quell’Emilia, diretta e sincera, che non sopporta inutili smancerie. Nessuno mi può giudicare era una canzone costruita per Celentano. Ma Adriano aveva già in mente quel capolavoro che era Il ragazzo della via Gluck. E scartò Nessuno mi può giudicare. Si trattava di andare a Sanremo, qualcosa d’importante. La proposero a me. L’ultima arrivata nel mondo della musica. Avevo neanche vent’anni. E un gran coraggio. Tanto che dissi: e secondo voi io posso cantare un tango? Il tango per me, allora, e sbagliavo, era una roba da ballo liscio, da vecchi. Non se ne parla. Qualcuno più saggio di me mi disse: facciamo un altro arrangiamento e vedrai. Così la canzone diventò qualcosa di pop-beat-rock. Diventò anche un inno. Alla libertà e al diritto di una donna di fare le sue scelte. Anche azzardate ma legittime. Oh... forse hanno anche esagerato a leggerci un messaggio rivoluzionario. In fondo si trattava di una ragazza, ventenne come me, che si permetteva di dire: “Nessuno mi può giudicare”. (Quando a giudicarti erano tanti: genitori, insegnanti, preti, compagni di scuola, fidanzati). E “nemmeno tu”. Quel tu era un tu che valeva per tutti. E poi se aggiungiamo “ognuno ha il diritto di vivere come può”... ecco che la miscela diventa esplosiva.
«Non dimentichiamo che correva l’anno 1966, mancavano due anni, ovviamente, al Sessantotto. Io sapevo di cantare un inno alla libertà e ai diritti, ma non ne ero così pienamente cosciente. Ero invece proprio consapevole che avevo voluto, volevo, e avrei voluto fare la cantante. Mia mamma me l’aveva detto: guarda che il cantante non è un mestiere da donna. Ma io, appena bambina, avevo deciso che avrei fatto la cantante. Per questo sogno ho rinunciato alla scuola. Lavoravo nelle balere per tirar su i soldi per pagarmi la scuola di canto. Bella voce ma grezza, dicevano. Andava affinata. Intanto suonavo il basso e il vibrafono. Mia mamma faceva la magliaia. E insegnava alle ragazze a farlo. Così le ragazze potevano comprarsi le calze e la crema per la faccia senza pesare sulla famiglia. Papà era stato segnato dalla guerra: era del genio telegrafisti, quante ne ha passate… Poi al salumificio lo pagavano poco e in nero. Intanto io andavo per la mia strada.
«E mi ritrovo a Roma. Ragazza del Piper. Era il maggio del 1965. Lo vedo per la prima volta, di giorno. E dico: tante scene e poi questa è una balera. E invece era un altro mondo. E da tutto il mondo venivano gruppi a suonare. Io avevo i pantaloni a zampa d’elefante con la vita bassa. Poi dopo un’ora a cantare si scendeva a ballare con la gente.
«E venne il Sessantotto. Già, dopo Nessuno mi può giudicare, ecco che mi rimproverano: prima fai la canzone rivoluzionaria e poi la seconda è Perdono, perdono, perdono … Arrivo a Genova per il Cantagiro del ’68 e la prima cosa che vedo sono gli striscioni: “La musica deve essere gratis”. Un po’ come era successo a Modugno: nel ’58 canta Volare, una canzone metafisica e metapolitica, e poi fa Dio, come ti amo... e giù critiche.
«Comunque se volete sapere chi sono i più grandi cantanti italiani io dico i cantautori. Quelli sì che capiscono. Prendete Paolo Conte: sapete che cosa ha detto di me, affettuosamente? “Ho sempre amato la sua voce non-lirica; cantava come una lavandaia”: nel senso – napoletano – di verace. Comunque io sono un contralto. A proposito di Paolo Conte. Gli ho fatto la corte due anni per portarlo a lavorare con noi. Lui diceva – dice – sempre di no a tutti. E poi non era straconosciuto come adesso: lo amavano solo le persone più intelligenti. Ma io ho registrato una cassetta analogica al telefono. Chiedevo a Celentano, Benigni, Brera eccetera un pensiero su Conte e poi la giravo alle radio locali che allora imperversavano. Il più sorprendente fu Mario Soldati che, urlando come sempre, esclamò: è bravo perché le sue parole non contengono volgarità, è come Mozart!
«Ma stiamo già parlando della mia seconda vita, quella di discografica. È stato il richiamo della giungla: erano sei anni che pensavo alla mia famiglia, mio marito Piero Sugar sempre con un libro in mano, mio figlio Filippo per cui pensavo a un lavoro di missioni internazionali e invece ha cambiato idea sua sponte e lavora con noi.
«Va bene: adesso lei mi chiede dei nomi. Ma come faccio a citare uno-una e non l’altro-l’altra? Insiste con Andrea Bocelli? L’accontento. Vado a un concerto a Bassano del Grappa dove c’è Zucchero. E prima di lui canta la “mia” Gerardina Trovato. Vabbé, va tutto bene. Ma, intanto, lì in piazza sento una voce che arriva da lontano. Sento un Miserere e un Nessun dorma. Mi domando: chi ha il coraggio di fare Nessun dorma così? Curiosa come sono: scopro Bocelli. E pensare che tutti gli avevano detto di no: sembri Claudio Villa, ma non è più tempo per i Claudio Villa. E poi mi piaceva perché a me piaceva Omar Sharif. E Andrea gli somigliava. Io Il dottor Živago l’ho visto sette volte, al cinema, allora non c’era lo streaming. Bene, altri nomi: ma dico Perdono, perdono, perdono perché so che lei non li scriverà tutti.
«Intanto Giovanni Caccamo, quel magnifico cantautore con cui faccio la trasmissione a Radiodue sulla musica dal Sessanta in avanti. Ha 25 anni e gli dico: quando stavi nascendo già Bennato e la Nannini cantavano Notti magiche, l’inno ai mondiali di calcio. Caccamo, un uomo che ha vinto la sua sfida. La Maionchi lo maltrattò a X Factor ma lui anziché andare in depressione continuò con il suo Live at home, nelle case dove c’era un pianoforte, faceva (fa) la sua meravigliosa musica a domicilio. E poi i Negramaro: a cinque anni dal debutto ufficiale sono già stati capaci di riempire lo stadio di San Siro, era il 31 maggio 2008. Sono venuti anche alla festa che mi hanno fatto – a sorpresa – al teatro Franco Parenti di Milano l’altra domenica per il mio compleanno. Giuliano Sangiorgi e la sua band hanno montato, rispettando i tempi della versione originale (due minuti e 38 secondi) Nessuno mi può giudicare facendola interpretare dai più bravi cantanti d’oggi.
«E, visto che parliamo dell’oggi, non mi dispiace quella similitudine che mi ha appena riferito: che io sono come quei bravi calciatori che poi diventano allenatori e fanno bene il loro mestiere anche fuori dal campo. Certo che il palco – il nostro campo di gioco – è un’altra emozione. Nulla eguaglia il palcoscenico per un artista. Nessuna emozione è come quelle facce che ti guardano, a volte intuisci appena che ti guardano, mentre hai le luci in faccia, ma lo senti e ti fa vibrare.
«Ma no, cosa c’entra che ho fatto anche l’attrice? Mica ero una brava attrice. Era che allora sulle canzoni di successo si architettavano dei film. Ma anche lì ho trovato un qualcosa di buono. Diciamo così: quando da ragazza andavo in giro un mese per concerti la sera tornavo in albergo tutta sola. Ero l’unica ragazza della band. Invece i maschi conoscevano sempre qualche ragazza da portare a cena o al dopocena. Quando facevo un film non ero mai sola: c’era la sarta, la comparsa, gli altri attori, i tecnici. Stavamo tutto il giorno insieme. Era come una famiglia. E poi ti capitava di incontrare gente come Nino Taranto che era così bravo e gentile.
«A proposito di cinema, no non solo di cinema anche di musica, ho parlato pochi giorni fa con Ennio Morricone: che musica le conversazioni con un genio come lui… Vogliamo parlare di libri? Ecco che mi appare la figura di mio suocero Ladislao. Arrivò da Budapest nel 1933. Anni complicati. Ma un grande imprenditore. Comunque aveva della terra e una vigna dove si nascondeva a leggere. Anche mio marito Piero fa così. E poi è geloso dei suoi libri. Se glieli tocchiamo non gli piace. Io leggo Erri De Luca e mi porto sempre appresso Avere o essere? di Erich Fromm. Poi non è che mi commuovo per un libro ma se mi fa parlare di mia mamma sì che mi commuovo. Quando ha saputo della festa che avevano organizzato per il compleanno a me – che non sapevo niente – telefona e dice: domenica, mi raccomando, mettiti un bel vestitino. Che tenera...
«Cosa faccio ora? Lavoro, con la mia casa discografica, la Sugar Music, per la musica e la canzone italiana. Quella italiana di qualità non ha niente da invidiare a quella anglosassone. Ma lo sapete che von Karajan interruppe un’intervista perché sul suo video scorreva Gloria (di Umberto Tozzi, ndr),“manchi tu nell’aria”... e non voleva perderla?».
P.S. Per coerenza, la signora Caselli (dopo aver venduto più di 5 milioni di dischi suoi) ha scoperto e lanciato: Pierangelo Bertoli, Giuni Russo, Andrea Bocelli, Avion Travel, Negramaro, Malika Ayane, Elisa, Pacifico, Tricarico, Filippa Giordano, Gerardina Trovato, Raphael Gualazzi, Marco Sbarbati, Paolo Vallesi, i Gazosa, Giovanni Caccamo. E, ovviamente, si chiede scusa ai non citati che pure ci sono anche loro.
Bene: la musica è finita, la signora Caselli se ne va. È stata così carina. Ma allora perché un gran signore, già avanti negli anni, di quelli che davano del voi, ai tempi di Nessuno mi può giudicare le disse: «Ho capito perché mi piacete. E perché avrete successo. Perché siete prepotente»?