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 2016  aprile 17 Domenica calendario

Bertrand Piccard, l’uomo che ha inventato l’aereo che vola spinto dal sole e dal vento

Reggere il confronto non era facile. Nonno August inventò la prima capsula spaziale, facendosi sollevare da una mongolfiera fino a 60 chilometri da terra dove, raggiunta la stratosfera, diventò uno degli idoli della sua generazione. Papà Jacques conquistò un record imbattibile, immergendosi con un sottomarino fino al punto più profondo del globo: “Toccò la fossa delle Marianne. Potranno eguagliarlo, mai batterlo”. Per Bertrand Piccard, che da bambino soffriva di vertigini, diventare uno dei più acclamati psichiatri svizzeri non bastava. E nemmeno ottenere fama planetaria per il giro del mondo in mongolfiera. Perché la sua impresa, al contrario di quelle degli altri Piccard, non aveva contribuito a nutrire la scienza. Nel 2003 nacque così il sogno di Solar Impulse, un aereo senza motore, che indossa solo pannelli solari, un pilota solo alla guida, e che vola spinto unicamente dal sole e dal vento. “Ci lavoravo col mio copilota, André Borschberg. Ma la tecnologia per creare un velivolo del genere non esisteva, e sono serviti moltissimi fondi e un gruppo straordinario di 150 persone per farcela”, racconta. Fino a che, nel marzo 2015, l’aereo strano che va senza un goccio di gasolio sorvolò all’alba la moschea Sheikh Zayed di Abu Dhabi, cominciando il suo lungo e lento viaggio attorno al mondo.
Da lì arrivò, volando tra i 50 e i 100 chilometri orari, in Oman, India, Birmania, Cina e poi fino alle Hawaii, conquistando il record di volo in solitaria più lungo nella storia dell’aviazione grazie all’energia solare: ben cinque giorni. E poteva essere l’ultimo, dato che le batterie, rimaste fortemente danneggiate, l’hanno costretto a svernare sull’arcipelago americano. Fino a oggi: “Siamo pronti a ripartire – dice Bertrand Piccard – per far sapere alla gente che ci sono tecnologie in grado di farvi risparmiare fino all’80 per cento di energia. Salvi soldi e salvi il pianeta”.
Bello slogan, ma Solar Impulse è rimasto mesi fermo alle Hawaii perché queste innovazioni hanno fallito.
Non hanno fallito, anzi. L’errore è stato nostro: isolando troppo le batterie, le abbiamo surriscaldate. I successivi quattro giorni sono stati duri, siamo arrivati vicini a provocare danni permanenti. Stavo per ripartire verso San Francisco, quando gli ingegneri mi hanno informato che le batterie erano morte.
Anche quando ha fatto il giro del mondo in mongolfiera ha dovuto aspettare due mesi il via libera dalla Cina.
Non posso prendermi il merito dei venti che mi hanno consentito di avere successo, quello di cui sono fiero è di avercela fatta dopo ben tre tentativi. Ho sopportato quelli che mi dicevano che il mio era un tentativo disperato di essere all’altezza di mio padre e nonno.
Quando è cominciata la tradizione familiare di essere pionieri?
Mio nonno era un fisico e voleva studiare i raggi cosmici, le particelle energetiche provenienti dallo spazio esterno. Doveva arrivare più in alto dell’atmosfera. Costruì una cabina stagna, versione primordiale della cabina pressurizzata. Era il 1951 e voleva trovare un’altra maniera di viaggiare, più stabile e sicura. Dove l’aria è più sottile, si risparmia energia.
È una vocazione di famiglia quella del risparmio energetico. Ma che impatto concreto può avere, Solar Impulse, sulla vita della gente?
Per Solar impulse usiamo materiali che potrebbero essere applicati anche alle vostre case, e il ritorno sarebbe enorme: investire nell’efficienza energetica rende molto di più che farlo in Borsa.
Suo nonno non ha ispirato solo lei.
Wernher von Braun, capo del programma spaziale americano, decise di mandare un razzo sulla luna dopo aver sentito mio nonno parlare negli anni 30.
Com’era la vita in quell’epoca?
Nel 1968 mio padre stava costruendo un sottomarino per la Nasa. Io mi godevo ogni lancio dell’Apollo, perché mi invitavano. Avevo 11 anni, ero come una spugna, e gli amici di mio padre erano astronauti, sommozzatori ed esploratori di ogni tipo.
Si ricorda il primo lancio cui assistette?
Apollo 7. Ma l’ho visto in un palazzo perché rischiava di esplodere. Poi Apollo 11, il razzo più pesante mai lanciato. Quando è decollato la terra vibrava come in un terremoto. Ho pensato: questa è la vita che voglio fare.
Vite pericolose, e voi tutti siete padri. Com’era per Bertrand bambino sapere che il richiamo dell’avventura contava più di un figlio?
Sì, a volte percepivo che i sottomarini venivano prima di me. È vero. Ma più che farmi arrabbiare, questo mi ispirava.
Lei mette la sua vita a rischio altrettanto spesso, e ha tre figlie. Ci pensa mai?
Una volta sola mi sono sentito davvero male. Ero sul mio deltaplano, nel 1990. La mia primogenita aveva 6 mesi. Stavo facendo i giri della morte, e la mia ala è esplosa. Sono riuscito a malapena a trovare il cordino per aprire il paracadute, e ho pensato: sono troppo egoista. Anche il giro del mondo in mongolfiera l’ho fatto solo per me. C’erano multimiliardari che ci provavano, come Richard Branson (patron della Virgin, ndr), e continuavano a fallire.
Proprio Branson fece infuriare il governo cinese con un volo in mongolfiera non autorizzato. Pechino bloccò i permessi per sorvolare il proprio territorio dopo che le aveva già dato l’ok.
Vero, è stato difficile circumnavigare la Cina su una mongolfiera. In compenso Branson aveva comunicato così tanto, e attirato così tanta attenzione a sé – pensando che ce l’avrebbe fatta – che poi tutta quella gloria è arrivata a me, quando ho completato il giro del mondo. All’arrivo, Richard ci portò una bottiglia di champagne. Era la mia prima, grande impresa. La gloria è stata tanta perché quell’impresa era quasi impossibile.
E infatti siete quasi morti. Per esempio, soffocando.
Abbiamo probabilmente fatto noi un errore con un filtro dell’anidride carbonica, ma l’allarme non è partito. Ce ne siamo accorti perché io e il mio copilota respiravamo a fatica. Abbiamo indossato le maschere a ossigeno e sostituito i filtri.
Poi avete perso il contatto con la torre di controllo.
Per 48 ore. Attorno a noi solo acqua, acqua, e ancora acqua. Sulla mappa e davanti agli occhi. Faceva paura l’idea che, in qualunque direzione fossimo andati, avremmo visto solo acqua per giorni e giorni.
Si era mai reso conto prima di quanto grande fosse il pianeta?
Quando stai sette giorni sul Pacifico senza vedere terra lo realizzi. Andavamo ad appena 25 km all’ora, solo gli ultimi due giorni, per fortuna, abbiamo raggiunto una corrente che ci ha spinti avanti a 180 chilometri all’ora. Ci ha salvati: eravamo ormai senza gasolio.
E per atterrare ne avevate bisogno.
Sì, per rallentare la discesa. Ma la prima volta che abbiamo toccato terra non l’abbiamo fatto apposta. Pensavamo che il deserto fosse piatto, invece c’era un’altura e ci abbiamo sbattuto addosso.
Altri pericoli?
Mine, leoni, dipendeva da dove saremmo atterrati. In Mali sarebbe stato pericoloso, e tra Libia ed Egitto c’e’ il “mare di sabbia”, non c’è mezzo alcuno che possa attraversarlo via terra. Avremmo dovuto camminare per giorni.
Il momento peggiore?
Nel mezzo del Pacifico, di notte, parlavo con la telecamera come per lasciare le mie ultime parole. Dicevo: “Ce la faremo solo se ci aiuterà Dio, altrimenti spariremo nell’acqua”.
Parlava di una mano invisibile che vi salvò.
Ho sempre avuto fede, ho sempre pensato che il nostro passaggio sulla terra ha un significato. Io credo nel dio che ci ha dato la vita, non nel dio che l’uomo ha creato. Se vogliamo anche solo avere un’idea di cosa sia dobbiamo elevarci spiritualmente, meditare, lavorare su noi stessi.
Meditazione e autoipnosi sono la prassi sia in mongolfiera che sul solar impulse. Si è sentito più vicino a capire dio nella solitudine di quel giro del mondo?
No. Però mi sono avvicinato molto a me stesso. Quando abbandoni routine e dunque la maniera automatizzata di pensare e agire, conquisti molta consapevolezza.
Deve essere estenuante.
Al contrario, ti dà un’energia inimmaginabile. Se ora penso di stare 20 giorni in una capsula nel cielo mi sembra infattibile, ma al momento era fantastico. Il tempo non contava. Contava il gasolio che stava finendo.
La cosa più bella del nostro pianeta visto dall’alto?
L’alba. L’orizzonte è sotto di te. Tutto è nero e di colpo vedi una sottilissima luce tra terra e paradiso. Poi il cielo diventa argento, e la terra è ancora nera. E il sole è rosso, e di colpo il cielo e la terra si tingono di tutti i colori.
È sempre stato spericolato?
Da adolescente non salivo sugli alberi per paura di cadere. A 10 anni, per superare la fobia, mi calai con una corda giù dal balcone di casa, ma rimasi impigliato tra due piani. Mio padre dovette mettere delle sedie su un tavolo per venire a tirarmi giù.
A che età ha fatto pace col rischio?
Col deltaplano, appena spiccai il volo la prima volta. Ricordo il mio stato d’animo: controllo totale.
C’è un limite ai rischi che accetta di correre?
Sì, la morte è inaccettabile così come il rischio di danni permanenti.
E come fa a evitarli?
Sono decisioni che in queste avventure prendi prima di partire, per non farti offuscare il giudizio sul momento. Con Bryan Jones, il mio copilota, ci siamo detti: accettiamo di avere freddo e caldo, di avere fame, di romperci una gamba o un braccio, ma non la spina dorsale, non di morire. Immagina di trovarti a poche ore dalla meta finale e di avere davanti una tempesta a bloccarti la strada, cosa fai? Noi non l’avremmo sfidata. L’unico rischio che abbiamo e corso consapevolmente era quello di finire alla deriva nell’Atlantico, se fosse finito il gas.
Ah beh.
Avevamo mute e giubbotti salvagenti. Non sarebbe stato piacevole ma non è come precipitare.
Da psichiatra pensa di avere una dipendenza dal rischio?
Quando ti trovi in situazioni molto pericolose e sopravvivi puoi essere colto da una sensazione di onnipotenza. Ma tutte le persone che ho conosciuto da piccolo hanno fatto cose incredibili con la loro vita. Per me è questa la normalità.
Una bella pressione per un bambino: o riesci in imprese straordinarie o sei un fallito.
A volte ho avuto questa sensazione. Avevo grandi ambizioni ed ero molto frustrato, ogni esito inferiore alla straordinarietà l’avrei considerato un fallimento. Pensavo: e se non fossi così speciale?
Dopo quest’avventura sarà soddisfatto?
Non andrò mai in pensione. Ma mi prenderò una pausa dal cielo, per stare un po’ coi piedi letteralmente per terra.
Come funziona l’auto ipnosi?
Nella vita quotidiana la consapevolezza è fuori da noi. Guardiamo, ascoltiamo, tocchiamo, annusiamo. È tutto all’esterno. L’ipnosi sposta la consapevolezza dal fuori al dentro.
La fa facile.
Sono molto allenato. Se vuoi dormire, rilassarti, dissociarti dagli avvenimenti esterni, è il modo migliore. Sul Solar Impulse faccio sonnellini di 20 minuti in cui inserisco il pilota automatico, per un totale tra le due e le sei ore al giorno.
E l’ipnosi può convincerti a non avere paura anche in situazioni pericolose?
Non puoi mentire a te stesso dicendo che va tutto bene, ma puoi rilassarti nonostante i pericoli. Se esisti solo nel presente non hai paura. Il panico è l’opposto, ti proietta nel futuro, ti fa immedesimare in un pericolo potenziale.
Immagini un aereo che si sta schiantando.
Andrei a prenderne i comandi!
Pensi allora a una malattia su cui non ha controllo.
Funziona lo stesso. L’ipnosi è un’ottima cura palliativa. Ho visto molti miei pazienti morire con assoluta calma. Se sei davvero in contatto con te stesso, hai accesso a risorse incredibili, come la pazienza, l’accettazione, la consapevolezza dell’inevitabilità delle cose.
L’Onu l’ha nominata ambasciatore per l’ambiente e i governi la esibiscono come una coccarda. Il suo futuro è in politica?
Io faccio già politica tutti i giorni, comunicando le mie soluzioni ad alcune delle sfide dei nostri tempi in sedi istituzionali, sui giornali, nelle conferenze, e tra la gente. Non mi legherei mai a un partito, perché voglio che il mio messaggio arrivi a tutti, senza alienare nessuno. Adesso però mi concentro per completare la traversata del Pacifico e le tappe che mancano per finire il giro del mondo. Aspettiamo una finestra di buon tempo per partire. Non vedo l’ora di vivere nella cabina di pilotaggio per i prossimi giorni. Sarà l’avventura della mia vita.