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 2016  aprile 17 Domenica calendario

Da Reggio a Brescello, i rampolli dei boss della ’ndrangheta si sono presi l’Emilia

Kalashnikov, pistole, cartucce e caricatori. Ragazzi con mucchi di banconote da 100 euro. A Reggio Emilia e provincia le bacheche Facebook valgono più di un ritratto. Sono le pagine dei giovani rampolli di famiglie calabresi spesso toccate da inchieste di ’ndrangheta che qui hanno iniziato a scavare da quasi vent’anni. Invece delle foto con le fidanzate, nei loro profili social pubblici mettono mitra, pistole, automobili date a fuoco. E poi frasi in calabrese in cui si esalta l’omertà: “Davanti alla curti non si parra. Pochi paroli e cu l’occhiuzzi in terra, l’omuchi parra assai semopre la sgarra. Culla sua stessa lingua s’assutterra”. È tutto su Facebook, sintomo di ingenuità o di senso di impunità. Segno sicuramente del livello di penetrazione e di emulazione che la criminalità ha raggiunto nella Bassa. Un radicamento che ha scavato in profondità questa terra chiara, fertilissima. E ha perfino ucciso: “Quattro omicidi a Reggio Emilia e dintorni negli ultimi 25 anni. Altri sei a Cutro giù in Calabria. Una quarantina di roghi. Per non dire di poliziotti e carabinieri toccati dall’inchiesta Aemilia”, racconta Donato Ungaro, che sul suo blog scrive di ’ndrangheta in Emilia. L’ultimo dei tanti capitoli è l’informativa dei Servizi segreti del 2013 in cui si parla della dirigente comunale di Reggio Emilia, Maria Sergio, nominata dall’allora sindaco Graziano Delrio, e moglie dell’attuale sindaco, Luca Vecchi (Pd). Nella nota degli 007 si parla anche di suoi presunti contatti con ’ndrine: i pm di Reggio e di Bologna tuttavia assicurano che lei non è, né è stata mai indagata.
Visti da qui hanno un suono diverso i “non ricordo”, i “non saprei” di Delrio quando nel 2012 fu sentito dai pm come persona informata sui fatti (non indagato). I giudici volevano sapere da lui qualcosa in più su quel viaggio nel paesino del Crotonese per la processione del 2009, nelle settimane di campagna elettorale per le amministrative. L’allora sindaco raccontò di non sapere che Nicolino Grande Aracri – già condannato per mafia e considerato dai magistrati il boss della omonima cosca operante anche in Emilia – fosse di Cutro. Eppure, fecero notare i magistrati a Delrio, qui se ne parla da tempo: solo per dirne una, il prefetto Antonella De Miro nel 2010 presentò una relazione che è ancora una bibbia sulle infiltrazioni a Reggio Emilia. E Grande Aracri Nicolino tra quelle pagine è il nome più ricorrente.
Già, sembra difficile non sapere se vivi a Reggio Emilia. La storia parte dai paesi persi tra la Bassa e le alture. È il 1983 quando a Quattro Castella, borgo arrampicato sulle colline, arrivano in soggiorno obbligato i membri della famiglia Dragone. Proprio i Dragone che nei primi anni 2000 saranno protagonisti, perdenti, della faida con i Grande Aracri. Ma le campane a morto in Emilia suonano già nel 1992: guerre tra cosche che uccisero Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero. Il primo freddato a Reggio Emilia. Il secondo a Brescello: i sicari si vestirono da carabinieri. Sulla grande piazza del paesino di don Camillo oggi trovi turisti francesi venuti a vedere i luoghi dei film.
Di quello che si nasconde sotto la superficie non possono accorgersi. Brescello che in tanti ormai chiamano Cutrello. Basta andare in via Pirandello per capire: svolti una curva e tutto cambia. Le case, che hanno uno stile diverso, una pare un tempio greco. Ma soprattutto le voci: niente più dialetto emiliano, solo calabrese. Francesco Grande Aracri – fratello di Nicolino – accetta di parlare con il cronista: “Mi sono fatto tre anni e mezzo di galera per colpa di un fratello maledetto. Ma tra undici fratelli ci può essere una pecora nera”. Anche Francesco, però, ha una condanna per mafia. “Quel galantuomo del sindaco se n’è dovuto andare solo perché mi ha difeso”. Già, Marcello Coffrini (centrosinistra), alla fine ha dovuto dimettersi per avere definito in un’intervista Francesco uno “educato” e “molto composto”, mentre il Comune rischia di essere sciolto per mafia. “Ci sono persone coinvolte, ma il nostro paese non è mafioso”, giura don Evandro, parroco di Brescello.
“Non pigliamocela solo con la gente di Cutro”, chiede un investigatore dell’inchiesta Aemilia. “Gli ’ndraghetisti sono anche emiliani. La pianta ha attecchito”. La maxi-inchiesta ha colpito imprenditori emiliani doc. Per esempio la storica ditta edile di Augusto Bianchini, di San Felice sul Panaro (Modena), imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo le carte, nei suoi cantieri per la ricostruzione dopo il terremoto 2012 hanno lavorato uomini delle ’ndrine. E poi ci sono Giovanni Vecchi e Patrizia Patricelli, di Montecchio Emilia, considerati imprenditori modello: per loro i pm hanno chiesto 6 anni di reclusione. A Reggio c’è anche chi non tace. Poi, però, non se la passa bene: per esempio Sabrina Pignedoli, la giornalista del libro Operazione Aemilia, parte offesa al processo. Ma non solo lei, anche i parlamentari sono minacciati: “Tu il nome Grande Aracri non lo devi pronunciare”, disse una persona a Maria Edera Spadoni, deputata M5s. La città si è svegliata. Come in un dibattito che si è svolto lunedì. La diffidenza verso la classe politica si respira, anche se tutti pensano che “Delrio non sia connivente”. Però un applauso arriva alle parole di Celeste Costantino, membro della commissione parlamentare Antimafia: “Andare in processione a Cutro non è reato. Ma tutti sanno cosa significhi un gesto così. Ci sono presenze, ci sono inchini…”.