La Stampa, 17 aprile 2016
Giuseppe Prezzini, il prof che riscrive la grammatica latina
Giuseppe Pezzini mette in discussione le grammatiche latine di tutto il mondo. La sua scoperta, dopo una ricerca durata quattro anni, grazie alla quale è ricercatore di lingua e letteratura latina all’Università di Oxford e da settembre avrà una cattedra a St. Andrews, è una rivoluzione per il mondo classico.
la seconda e la terza persona del verbo essere non hanno la «e». L’autentico verbo essere latino, quello parlato dalla gente quando non era una lingua morta e quello scritto da molti autori, da Cicerone a Virgilio, è: sum (io sono); s (tu sei); st (egli è); sumus (noi siamo); estis (voi siete); sunt (essi sono). Quello che per oltre un millennio tutti hanno sempre studiato e tradotto – cioè che «es» è la traduzione di «tu sei», e «est» significa «egli è» – non è corretto. Il motivo? I monaci, nel Medioevo, hanno fatto un errore di copiatura.
A scoprirlo è stato proprio Pezzini, classe 1984, diplomato al liceo classico Alfieri di Torino. Dopo un Erasmus a Oxford, in Inghilterra ci è rimasto. Prima come dottorando, poi come docente. «Qui insegno già ai miei allievi il verbo essere senza la “e” – dice – ma penso che i prossimi manuali debbano essere aggiornati». È lo stesso pensiero del suo professore, James Adams, uno dei massimi esperti al mondo che l’ha seguito nella recente pubblicazione del libro: «Terence and the Verb To Be in Latin» di Pezzini.
È da Terenzio che è cominciato tutto. Nel verso 955 della commedia «Andria» l’autore scrive: «Quidnam? vinctus est. Pater, non recte vinctust». «Qui mi sono chiesto: come mai il verbo essere è stato scritto prima “est”, e poi diventa “st”? E cos’è questa forma -st, che spesso viene considerata un’abbreviazione o un errore?». La risposta è arrivata dopo quattro anni di consultazioni di centinaia di manoscritti e migliaia di iscrizioni antiche, tra viaggi nelle biblioteche di mezza Europa: «Almeno fino al I secolo d.C. la “e” di essere non si scriveva né pronunciava, se non in casi particolari: quando significava esistere, per enfatizzare un’azione o scrivere in modo formale», spiega Pezzini. Tra l’anno cento e l’anno mille, nel parlato si è iniziato ad aggiungere una «e» per eliminare le eccezioni e poi il latino si è trasformato in italiano, francese, spagnolo. Successivamente, quando il latino era quasi una lingua morta, sono arrivate le grammatiche, e in particolare quella di Donato. «Lui ha pensato che l’unica forma corretta del verbo dovesse essere quella con la “e”. La sua grammatica è stata quella più utilizzata dai monaci medievali per trascrivere i manoscritti arrivati fino a noi». Ma non è l’unica: ci sono altri grammatici del IV secolo che confermano la ricerca di Pezzini. Che prosegue: «I medievali hanno preso per buone le regole di Donato e corretto ogni testo aggiungendo una “e”». Una serie di errori a catena che dopo secoli di silenzio ora ha una risposta.