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 2016  aprile 17 Domenica calendario

Forse bisognerebbe ricordare che gli italiani sono stati in guerra dal 1914 al 3 novembre 1918

I monumenti della Grande guerra confermano che il conflitto, per l’Italia, durò dal 24 maggio 1915 al 3 novembre 1918 (non il 4). Credo anche che il giorno 24 maggio non sia morto nessuno, trattandosi della notte tra il 24 e il 25; mentre sull’anno 1915 bisognerebbe fare molta attenzione. In tanti monumenti di guerra, spero, ancora presenti, ad esempio nella zona Soraga–Moena, ricordo benissimo dei caduti, dal cognome Rossi, morti nel 1914. Si trattava, evidentemente, di italiani che vivevano sotto l’Impero Austriaco ed erano andati a morire su altri fronti. Per l’Italia di oggi parlare di guerra 1915-1918 vuol ancora dire che lo scopo del conflitto era la conquista di Trento e Trieste. Ma forse bisognerebbe ricordare che gli italiani sono stati in guerra dal 1914 al 3 novembre 1918.
Sestilio Crocetti
Caro Crocetti,
Moena in val di Fassa, che lei cita nella sua lettera, è uno dei diciotto comuni delle province di Trento e Bolzano dove si parla ladino. Oggi è la «fata delle Dolomiti» e accoglie ogni anno parecchie centinaia di turisti, spesso famiglie con bambini. Ma nell’agosto del 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, era un comune austro-ungarico abitato da gente di montagna, uomini e donne devoti alla Chiesa cattolica e al sacro imperatore. Qui, il 23 febbraio 1886, nacque Battista Chiocchetti. Il padre era contadino, ma anche muratore e carpentiere, mentre il figlio, pur avendo aperto una bottega di falegnameria, aveva una certa predisposizione per la musica ed era diventato «primo clarino» della banda del Paese. Non parleremmo di lui, tuttavia, se nell’agosto del 1914, alla età di 28 anni, Chiocchetti non fosse stato richiamato alle armi. Fu portato a Bolzano, dove la sua compagnia prestò giuramento (prima i cittadini di lingua italiana, poi quelli di lingua tedesca) e infine, dopo un po’ di addestramento, venne caricata su tradotte ferroviarie che attraversarono l’Europa centrale e depositarono il loro carico umano sul fronte della Galizia.
La guerra, per Chiocchetti, non fu lunga. La sua compagnia combatté contro le formazioni russe del generale Brusilov nella battaglia di Leopoli, dovette ritirarsi fino ai Carpazi e finì per dissolversi di fronte a nuova avanzata russa in settembre.
La prigionia fu lunga e avventurosa. Ne conosciamo le peripezie perché Chiocchetti, grazie alla educazione scolastica dell’Impero asburgico (in Italia un soldato della sua condizione sociale sarebbe stato forse analfabeta), scrisse un diario che rimase in un cassetto della casa di famiglia sino alla sua pubblicazione nel 1999 per le edizioni dell’Istitut Cultural Ladin, a cura di Mario Gallarati e Claudio Boselli. Un po’ sgrammaticato e pieno di parole che appartengono a un gergo militare italo-tedesco, il diario di Chiocchetti è un interessante documento storico. Racconta le avventure di un soldato trentino che cambiò patria nel corso della sua prigionia. Era un nemico quando venne catturato dall’esercito zarista. Ma era anche il cittadino di un Paese non più nemico dopo la rivoluzione bolscevica e la pace di Brest Litovsk. Fu liberato quindi alla fine del 1917, ma poté rimpatriare soltanto per la strada più lunga: un breve passaggio da Mosca; tre mesi e mezzo in un campo a Kirsanov, dove venivano raccolti i prigionieri austro-ungarici di lingua italiana; il viaggio attraverso la Siberia sino alla città cinese di Harbin; otto mesi a Pechino; l’imbarco a Shanghai, i mari della Cina meridionale, il canale di Suez, Port Said, Siracusa, Napoli, Ciampino, un mese a Roma sino all’inizio di dicembre e, infine, Milano. Era nato austriaco e sarebbe morto italiano nel 1926.