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 2016  aprile 17 Domenica calendario

La rivoluzione dei 99 Posse

Non è facile grattare via l’etichetta di cattivi maestri. Napoli, 1991: i 99 Posse sono il megafono della città: guaglioni arrabbiati di un movimento no global agli albori. Napoli, 2016: in 25 anni, tutto cambia, soprattutto il modo di dire le cose. ’O Zulù sta giocando con suo figlio di 3 anni: «Gli ho appena comprato un amplificatore da musicista di strada». Raul senza saperlo è stato il motore di questo disco. «Una scintilla che mi ha obbligato a scrivere».
Zulù si è messo a nudo. «Un disco covato da tempo, poi uscito di getto come una liberazione: negli ultimi anni ho accumulato veleno, come un depuratore ora ho buttato tutto fuori. Ma in modo poetico, attraverso l’uso di quelle metafore che ai nostri esordi consideravamo giri di parole». «Il tempo. Le parole. Il suono» esce venerdì. Non è un disco riconducibile a quelli del passato. Perché nel momento in cui è diventato di moda urlare, loro abbassano i toni: meno slogan nel mucchio. «Sentivamo il bisogno di liberarci da stereotipi antichi. Non dobbiamo per forza vendere ricette per il cambiamento. La rabbia esce in modo diverso: prima era una reazione istintiva a ogni colpo in faccia. Con la maturità impari ad analizzare, a studiare, prendendo le distanze da quasi tutti».
Per la prima volta i 99 Posse parlano di se stessi. «Negli ultimi anni ci siamo confrontati a lungo su quello che volevamo diventare. A 45 anni sei un’altra persona. Abbiamo deciso di staccare per un po’ dai live: continuavano a chiederci concerti e questo ci allontanava dal percorso creativo. Ho un rapporto con la scrittura complicato. La vivo come un parto, tra continui ripensamenti. Grazie a mio figlio ho smesso di processarmi».
Zulù resetta i conti con il passato. «Sentivo troppe responsabilità musicali, un’immagine creata dal mercato a cui poi finisci per abituarti» spiega. E in quello specchio per anni Zulù ha vissuto l’altalena di frontman del collettivo musicale più potente del Paese, schiacciato dalla tossicodipendenza che gli stava mangiando la vita. Poi la rinascita e oggi la lucida consapevolezza di poter raccontare la rabbia sociale in un altro modo. «Siamo partiti dall’interno delle cose per affrontare quello che ci circonda».
Negli ultimi anni è cresciuta l’onda del rap, nuovo genere da classifica. «Il mercato cerca diversità, non per farla esprimere, ma perché essere maledetti vende bene». Ma il fermento creativo nel Paese è pure cresciuto. «Una volta c’erano i paninari, i dark, i punk: era tutto schematico. Oggi grazie anche alla Rete nascono 500 cose diverse al giorno». Tra gli ospiti dell’album, oltre a Enzo Avitabile e Lo Stato Sociale, c’è Rocco Hunt, erede di un rap in salsa napoletana. «Rocchino mi ricorda noi alla sua età. Ha avuto il coraggio di portare un messaggio sociale a Sanremo. Infatti l’hanno subito bollato. E mi ha chiamato per chiedere un consiglio».