Corriere della Sera, 17 aprile 2016
La Siae si è salvata ancora una volta. L’ultimo monopolio italiano non si spezza
«La direttiva europea apre due strade – aveva sintetizzato il 30 marzo il ministro della Cultura Dario Franceschini di fronte al Parlamento —, una riforma profonda della Siae o una liberalizzazione del mercato». Giusto per non sbagliare abbiamo evitato la liberalizzazione e ci siamo dimenticati dei termini per il recepimento: scadevano una settimana fa. Così è stato salvato il «panda» Siae, l’ultimo monopolio italiano. Non hanno resistito i tabacchi. Non ce l’hanno fatta le Poste, hanno dovuto arretrare anche le potenti telecomunicazioni, la strategica energia e perfino il sale. Ma grazie a una legge dell’11 aprile 1941 ce la sta facendo la Siae, il ministero della gestione collettiva del diritto d’autore con oltre 1.200 dipendenti per 183 milioni di costi l’anno. Uno sforzo eroico: la missione è resistere a Internet. Per non essere ingenerosi va comunque ricordato che non siamo gli unici: in compagnia dell’Italia, in Europa, c’è anche la Repubblica Ceca. I progetti di legge per spezzare l’ultimo monopolio italiano non mancano in Parlamento. Ce n’è uno di Andrea Romano, un altro di Francesca Bonomo, stesso partito (Pd). Il Parlamento sta discutendo del recepimento della direttiva che si spera arrivi presto. A ricordarla al governo ci hanno pensato anche 300 tra imprenditori, startupper e finanziatori che operano o, meglio, vorrebbero operare nel campo del monopolista. «Come innovatori, investitori e imprenditori ci rivolgiamo a Lei – hanno scritto a Renzi – per far sì che l’Italia colga un’occasione storica per far entrare la propria industria della musica nella modernità». Laddove «modernità» deve essere suonata come una sorta di insulto al vecchio monopolista fondato nel 1882 che resiste, da anni, agli attacchi nonostante una quasi bancarotta risolta nel 2013 solo con l’intervento dei commissari tra cui l’avvocato Luca Scordino (per amarcord possiamo ricordare che solo l’house organ Siae costava 1,3 milioni l’anno. Sembra che i commissari al tempo riuscirono anche a tagliare lo stipendio d’oro del potente direttore generale, Gaetano Blandini). «L’occasione è persa» in ogni caso per Andrea Romano. Ma sarebbe comunque soddisfatto Davide D’Atri, fondatore di Soundreef e firmatario dell’appello a Renzi. Soundreef che poche settimane fa è stata ammessa nel mercato inglese e che già opera nel suo piccolo in Italia grazie al cappello di «società estera», promette di poter risolvere alcune «piccole» inefficienze della Siae: tipo il pagamento in 2.436 mesi e la ripartizione che storicamente ha sempre favorito i grandi artisti.