Corriere della Sera, 17 aprile 2016
Renzi è sicuro che il referendum non passerà
Alla vigilia del voto referendario sulle trivelle, Matteo Renzi, almeno all’apparenza, non sembra attendere il risultato delle urne con grandi patemi d’animo. Il presidente del Consiglio, infatti, è convinto che «il quorum non verrà raggiunto», come ha spiegato a qualche interlocutore amico, preoccupato per il voto.
Eppure il premier sa bene qual è la manovra che verrà messa in atto un minuto dopo l’ufficializzazione della percentuale dei votanti, anche se non si raggiungerà il quorum. Ne parlavano l’altro giorno i leader della minoranza del Pd. L’idea, nel caso in cui vada a votare dal 35 per cento in su degli italiani, è quella di mettere l’accento sul fatto che esiste un solido fronte anti-Renzi. Un fronte che in occasione del referendum costituzionale potrebbe allargarsi, dal momento che Forza Italia, che ha lasciato libertà di voto sulle trivelle e non era interessata a cavalcare il referendum di oggi, all’appuntamento di ottobre darà invece battaglia.
Ma il premier è un uomo pragmatico. Ed è convinto che l’importante sia il risultato concreto: ossia la vittoria della sua linea e il mancato raggiungimento del quorum. Il resto appartiene alle «beghe politiche» e al «circo mediatico», e a lui interessa poco.
Renzi è altrettanto sicuro che l’esito del referendum costituzionale non sarà vincolato al voto di oggi e per lui rappresenterà un successo. È quello l’appuntamento che gli preme. Non a caso il governo, come ha annunciato lo stesso premier in un’intervista concessa al quotidiano Il Resto del Carlino, sta studiando un piano di riduzione delle tasse in favore delle famiglie proprio per l’autunno prossimo, quando si celebrerà il referendum sul ddl Boschi.
Comunque, anche se al quartier generale del Partito democratico, come a palazzo Chigi, sono convinti che oggi il quorum non verrà raggiunto, il presidente del Consiglio negli ultimi giorni ha tentato di evitare la politicizzazione del referendum sulle trivelle. Ha parlato esclusivamente del merito della vicenda, ricordando che non si tratta di «un voto sul governo» ma sulle sorti energetiche dell’Italia e dei lavoratori che, a suo giudizio, «perderebbero il posto» se vincessero i referendari. E anche la decisione di insistere sulla libertà di voto per gli esponenti e i militanti del Partito democratico va letta proprio nell’ottica di sdrammatizzare politicamente la vicenda e di non tramutarla nell’ennesimo scontro tra maggioranza e minoranza interne o, peggio ancora, tra il Pd e il resto del variegato mondo della sinistra.
«So che c’è chi vorrebbe trasformare l’iniziativa referendaria in una battaglia politica contro di me – è il ragionamento del premier – ma è uno sbaglio perché qui si deve ragionare e votare sul merito delle questioni». E la linea di Matteo Renzi in questa materia non è una novità dell’ultima ora. Già nel luglio del 2014, quando era approdato da qualche mese a palazzo Chigi, il presidente del Consiglio sottolineava che per lui era «impossibile» andare a parlare di energia in Europa, se, nel frattempo, «non si sfruttava l’energia che abbiamo in Sicilia a in Basilicata».
Per il premier il vero nodo intricato, non legato al referendum, ma alla politica energetica del Paese sì, è quello della nomina del successore di Guidi allo Sviluppo economico. Con tutta probabilità non riuscirà a scioglierlo nemmeno la prossima settimana. Sul tappeto i candidati sono tre: Claudio De Vincenti (il favorito del premier), Teresa Bellanova e Paola De Micheli. Ma la decisione dipende anche dal prosieguo dell’inchiesta che ha coinvolto Federica Guidi.