Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 17 Domenica calendario

Trasferire la mente in un avatar non è pura utopia

  Nel film “Transcendence” Johnny Depp interpreta il ruolo di uno scienziato ambizioso e controverso che ha un solo obiettivo: la vita eterna. Quando rimane ucciso la sua mente viene caricata su un computer che assume la sua personalità e che lo rende immortale, seppur nel cyber spazio.
Un film di fantascienza, che ha avuto scarso successo. Eppure il concetto di “mind uploading”, di trasferimento della mente, non è pura utopia, come potrebbe sembrare. Almeno secondo una certa scuola di neuroscienziati che stanno lavorando proprio su questo obiettivo. In Giappone l’esperto di robotica Hiroshi Ishiguro, già creatore di Erica, l’umanoide più avanzato mai realizzato, è convinto che nelle prossime decadi i suoi robot diventeranno il guscio dentro il quale sarà racchiusa la mente degli uomini. Corpi meccanici con un cervello umano.
Il miliardario russo Dmitry Itskov è convinto, come il Johnny Depp del film, di poter vivere per sempre attraverso una macchina e così ha stanziato decine di milioni di euro per un progetto chiamato “2045 Initiative”, che ha l’obiettivo di arrivare al trasferimento della mente su un robot o un avatar. Fantasie di un miliardario che non vuole rassegnarsi alla morte? Molti lo pensano, ma intanto la Bbc ha dedicato un documentario al tema ( The immortalist) e il direttore scientifico di “2045 Initiative”, Randal Koene, neuroscienziato, già professore all’università di Boston, è un convinto sostenitore dell’emulazione del cervello, come la definisce lui. «Non nego sia molto, molto complicato arrivarci. Ma in teoria è possibile e ne abbiamo le prove», spiega entusiasta al telefono da San Francisco.
L’approccio di Koene e dei suoi colleghi è quello di considerare il cervello come un computer, che trasforma gli input, dati sensoriali, in output, ovvero la nostra personalità e il nostro comportamento. Se questo processo potesse essere interamente mappato allora potrebbe anche, in teoria, essere copiato su un computer. «Per trasferire il cervello dobbiamo prima capire come funziona. Questo significa arrivare a conoscere il connettoma, ovvero la rete di tutte le connessioni sinaptiche. Tra un paio di mesi avremo il primo connettoma completo, quello della drosofila, il moscerino della frutta, che è stato realizzato dal Max Planck Institute con due anni di lavoro. Una volta arrivati al connettoma bisogna osservare la funzione delle sinapsi del cervello mentre è in attività, ovvero mentre si pensa, si sogna, si ricorda. Un progetto del dipartimento della Difesa americano è riuscito finora a vedere in funzione, contemporaneamente, un milione di neuroni. È sicuramente un grande passo avanti», commenta Koene.
Una delle prove che lo scienziato porta a esempio arriva dall’università della Southern California. Qui l’ingegnere biomedico Theodore Berger è riuscito a sviluppare la prima protesi neurale, quella dell’ippocampo. Come se fosse un braccio o una gamba bionici, questo ippocampo fittizio è stato testato con successo sui topi e sta per partire la sperimentazione sull’uomo. «È la prima tangibile dimostrazione che il cervello sia una macchina. Se possiamo rimpiazzarne un pezzo allora possiamo rimpiazzarlo tutto», conclude Koene.
Per arrivare allo scenario descritto da
Transcendence e al trasferimento della mente serviranno alcune decadi, prevede il neuroscienziato: «Dopotutto i nostri neuroni sono uguali a quelli della drosofila».
Rafael Yuste invece è scettico. Definito da
Nature uno degli scienziati più influenti al mondo, da oltre vent’anni si occupa di capire come operi il nostro organo più complesso. Il suo lavoro ha ispirato Barack Obama che nel 2013 ha lanciato l’iniziativa “Brain”, proprio per arrivare alla comprensione dei circuiti neuronali e quindi a tentare la cura di malattie come la schizofrenia, l’Alzheimer, l’epilessia, l’autismo, la depressione. «Non abbiamo prove certe che scartino l’ipotesi del mind uploading. Ma sono propenso a pensare che il cervello non funzioni come un computer, ma come una macchina biologica. In questo caso il suo contenuto potrebbe essere trasferito solo su un substrato biologico, per esempio in un animale», ragiona Yuste al telefono dal suo ufficio alla Columbia University, dove insegna Scienze biologiche e Neuroscienze. «I miei studi finora provano che il cervello abbia un’intensa attività spontanea, non legata al comportamento o al movimento del soggetto. Se il cervello fosse un computer quando un animale o un uomo non si muovono dovrebbe essere spento e a riposo». Proprio in questi giorni il professore e il suo team hanno licenziato la loro ultima ricerca per la pubblicazione: la mappatura dell’attività di tutti i neuroni di un piccolo invertebrato, l’idra. «Le faccio un esempio. Il connettoma può essere paragonato al diagramma della rete telefonica di una grande città. Noi siamo andati oltre. Abbiamo ascoltato ogni singola conversazione di quella rete e in due anni siamo arrivati al modello tridimensionale del cervello dell’idra, che può avere tra i seicento e i tremila neuroni. Prossima tappa: capire il contenuto di queste conversazioni. Dobbiamo decodificarne il linguaggio. L’iniziativa di Obama, “Brain”, si prefigge lo stesso obiettivo ma con il cervello umano. Solo capendo quel linguaggio possiamo davvero comprendere come funzioni la nostra mente e perché ogni mente è unica», prosegue Yuste. «Il mio sogno è arrivare a decifrare la corteccia cerebrale dell’uomo, ma se comprendessimo una piccola parte della corteccia dei topi saremmo molto vicini. Credo che una teoria generale di come funzionino i circuiti neurali potremmo averla tra una decina di anni e questo ci aiuterà ad arrivare all’obiettivo finale. Quando questo avverrà non posso prevederlo». Anche Miguel Nicolelis, professore di neuroscienze alla Duke University, North Carolina, crede che Itskov e Koene siano sulla strada sbagliata. «È impossibile ridurre il cervello a un medium digitale. Intuizione, odio, amore, coscienza non si possono trasformare in algoritmi», commenta tranciante. Senza contare le implicazioni inquietanti di un’operazione del genere. Si potranno fare più copie di uno stesso cervello? Le diverse copie saranno la stessa persona? E a chi apparterranno? La mente potrà essere manipolata? Con pragmatismo, Yuste liquida così ogni interrogativo etico: «Per ora è fantascienza, preoccuparsene troppo è solo una perdita di tempo».