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 2016  aprile 18 Lunedì calendario

La legge Madia sulla trasparenza è una truffa

Immaginate di poter ottenere, con una semplice email, migliaia e migliaia di pagine che spieghino, nel dettaglio, quali sono le procedure interne seguite dall’Agenzia delle Entrate. Ad esempio: in base a quali elementi l’agenzia decide di accordarsi con il contribuente per fargli pagare una certa cifra piuttosto che un’altra? Quali aspetti delle dichiarazioni fiscali i singoli funzionari sono incentivati a controllare scrupolosamente e su quali invece di solito l’agenzia preferisce lasciar correre? Immaginate quanto questi documenti potrebbero essere utili ai commercialisti e a chi si occupa delle dichiarazioni fiscali delle imprese. Sono informazioni che i grandi studi di consulenza tributaria già possiedono, ma di cui la stragrande maggioranza di contribuenti è all’oscuro. Conoscere queste informazioni sarebbe utile a centinaia di migliaia di italiani per compilare la propria dichiarazioni fiscale a prova di errore: sarebbe un risparmio di tempo e denaro anche per la stessa Agenzia delle Entrate che, secondo i dati di Equitalia, negli ultimi quindici anni ha fatto richiesta di decine di miliardi di euro per errori che sarebbe stato facile evitare.
Non si tratta di fantascienza, ma di una cosa che è avvenuta davvero negli Stati Uniti, quando nel 1972 la Irs, l’equivalente dell’Agenzia delle Entrate, fu costretta a pubblicare un manuale di 40 mila pagine sulle sue procedure interne. L’episodio fu reso possibile grazie al “Freedom of informations act” (Foia), una legge che consente a qualsiasi cittadino degli Stati Uniti di fare richiesta di tutti i documenti pubblici, comprese le comunicazioni interne dell’amministrazione pubblica, che non siano protetti dal segreto di Stato o da una serie di altre eccezioni piuttosto ristretta.
Oggi più di cento Paesi del mondo si sono dotati di un Foia simile a quello degli Stati Uniti, il primo nella storia. Con undici anni di ritardo rispetto alla Germania, l’ultimo grande Paese europeo a introdurre una legge simile, anche l’Italia ha ultimato la sua versione del Foia. Si tratta di un decreto legislativo della legge delega di riforma della Pubblica Amministrazione approvata lo scorso agosto. Il testo è stato scritto direttamente dagli uffici legislativi del ministero della Pubblica Amministrazione guidato da Marianna Madia, e approvato in via preliminare lo scorso 20 gennaio dal Consiglio dei ministri.
Il testo del Foia italiano ha già raccolto i pareri consultivi previsti per legge: quello del Consiglio di Stato, dell’Anac, della Conferenza Stato-Regioni e per questa settimana è atteso quello del Parlamento. Ma la versione italiana del Foia è, appunto, una versione “all’italiana”: macchinosa, costosa per i cittadini e difficile da applicare. Anzi: «Non è un Foia» dice Guido Romeo, giornalista, presidente di “Diritto di Sapere”, membro di “Foia4Italy” e uno dei principali esperti della materia.
La legge attualmente in vigore, il decreto 33 varato dal governo Monti nel 2013, che dovrebbe essere riformata dal decreto del ministro Madia, è già tra le meno trasparenti d’Europa. In più, non va a incidere in alcun modo sulla legge 241 del 1990 relativa all’accesso agli atti che, in sostanza, garantisce l’accesso ai documenti soltanto a chi «vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti». In poche parole, le amministrazioni sono obbligate a fornire documenti soltanto se c’è un processo di mezzo o se si riesce a dimostrare che la rivelazione dei documenti proverà una lesione dei nostri diritti giuridici.
La proposta del governo non migliora molto le cose. Innanzitutto, le amministrazioni pubbliche avranno a disposizione una lunghissima lista di eccezioni per rifiutarsi di consegnare le informazioni. «Ad esempio – spiega Romeo – le amministrazioni possono rifiutarsi di fornire informazioni che arrecherebbero un danno “economico o commerciale a una persona fisica o giuridica”». Questo significa che, ad esempio,una richiesta di informazioni su un’importante società quotata pubblica, come Eni, potrebbe essere respinta perché potrebbe far perdere il titolo in borsa.
Le eccezioni sono così numerose che rischiano di diventare una scusa per negare potenzialmente qualsiasi richiesta. Inoltre, la legge introduce una pratica nuova, il “silenzio diniego”. Quasi tutti conosco il “silenzio assenso”: se a una richiesta di autorizzazione una struttura pubblica non risponde entro un certo numero di giorni, il permesso si considera concesso. Con il Foia italiano vige l’esatto opposto: se dopo 30 giorni l’amministrazione pubblica non risponde, la richiesta deve essere considerata automaticamente respinta.
E se il cittadino avesse il sospetto che la richiesta gli è stata negata ingiustamente? Ad esempio perché il funzionario ha semplicemente lasciato in attesa la pratica fino allo scadere dei trenta giorni? L’unico modo che ha per far valere le proprie ragioni è con un ricorso al Tar, per il quale è necessario pagare un contributo di 500 euro e sobbarcarsi le spese legali. E questo senza nemmeno essere certi del risultato, visto che la quantità di eccezioni renderà molto facile all’amministrazione pubblica dimostrare che aveva valide ragioni per non consegnare i documenti.
Alla beffa dei ricorsi a pagamento, si aggiunge anche la possibilità per le amministrazioni pubbliche di richiedere uncontributo per consegnare le informazioni ai cittadini, un costo a cui la legge non pone alcuna sorta di massimale o di criterio proporzionale. Infine, la legge non prevede alcuna forma di sanzione per quelle amministrazioni che in maniera sistematica non evadono le pratiche Foia. Come ha scritto Massimo Mantellini, blogger ed esperto della questione, la legge mostra «un’impudenza difficile anche solo da immaginare».
«Un caso tipo – continua Romeo – potrebbe essere quello di un cittadino che fa richiesta di un’informazione, paga il denaro che gli richiede l’amministrazione competente. Per trenta giorni la pratica non riceve risposta e quindi si considera respinta. A questo punto, l’unica strada che il cittadino può intraprendere è quella di un ricorso “al buio” presso il Tar, con l’ulteriore spesa di 500 euro, più quella per l’assistenza legale. Con il rischio di venire comunque respinto alla fine del procedimento».
Il governo ha già promesso di cambiare alcuni degli aspetti più critici della legge, come il “silenzio diniego”, e di precisare alcuni degli aspetti più ambigui, come la questione del costo delle pratiche. Sul punto chiave, quello della quantità di eccezioni, sembra invece che il compito di elencarle sarà affidato all’Anac, l’autorità anti-corruzione guidata da Raffaele Cantone. In quali tempi e sulla base di quali linee guida, però, non è ancora stato chiarito.
L’introduzione di un Foia è importante per un moderno Paese democratico. Ad esempio, è stato dimostrato più volte che con le leggi attuali non è possibile ottenere dai Consigli regionali e municipali i dettagli delle spese che vengono rimborsate ai funzionari eletti, ma soltanto liste aggregate dalle quali si può capire ben poco. La storia politica degli ultimi anni sarebbe stata molto diversa, se qualsiasi cittadino avesse potuto richiedere questo tipo di informazioni ai suoi amministratori locali. Non ci sarebbero stato bisogno della magistratura per far scoppiare i numerosi scandali di “rimborsopoli” e forse, sapendo di poter essere scoperti facilmente, gli stessi politici avrebbero adottato comportamenti più prudenti.