Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 18 Lunedì calendario

Il Grande Fratello è tra noi e si chiama captatore informatico. È un virus dal quale nessuno può difendersi

Il Grande Fratello è tra noi e si chiama captatore informatico, strumento che consente di acquisire ogni dettaglio della vita privata della vittima che tecnicamente è chiamato “bersaglio”, con raggelante realismo; mediante un virus autoinstallante indirizzato ai dispositivi elettronici (compresi cellulari e tablet), la vita del “bersaglio” viene registrata in diretta, con una potenza invasiva totale, senza possibilità di difesa. L’immissione del virus avviene in modo occulto e il suo funzionamento non è nemmeno rilevabile ai normali controlli; da quel momento (basta aprire una mail o cliccare su un allegato) la privacy, la riservatezza, la stessa vita privata diventano concetti senza più senso per chi, a sua insaputa, viene costantemente controllato.
Il captatore ascolta i dialoghi, legge la rubrica, copia le mail, pedina gli spostamenti, riprende i movimenti (si può impossessare anche delle telecamere del dispositivo infettato); insomma, altro che truman show, nemmeno Orwell aveva previsto un simile annullamento delle libertà individuali, col semplice controllo degli apparecchi informatici. Va detto, per mettere in chiaro le cose, che se il captatore viene installato da un privato (come nel caso di un marito geloso per sapere cosa faccia la moglie in sua assenza oppure di un datore di lavoro per venire a conoscenza dei movimenti dei propri dipendenti), si tratta di un grave reato che viola il divieto di intromissione nella vita privata e la tutela della riservatezza. Ma il problema riguarda un aspetto ben più significativo e rilevante, quando cioè il captatore informatico è utilizzato per le indagini giudiziarie.
Da quando questi particolari programmi sono stati creati e perfezionati, la polizia giudiziaria e la magistratura hanno iniziato a farne uso, come nuova forma di intercettazione; il mafioso, il politico corrotto, il terrorista vengono sottoposti alla captazione, così ogni aspetto della loro vita viene conosciuto e scandagliato, per ottenere prove schiaccianti a carico. Tutto bene allora? Non proprio: il tema delle libertà individuali e dei diritti fondamentali è delicato e richiede la massima cautela poiché le deroghe ai principi, anche quando avvengono per finalità di interesse generale come il contrasto alla criminalità, rischiano di aprire crepe nella tutela della persona e nella stessa visione costituzionale delle libertà personali. La questione, ridotta nelle sue linee essenziali, è se la lotta al crimine consenta di introdursi nella vita privata degli indagati senza alcun limite o se le libertà individuali siano inviolabili, anche di fronte agli accertamenti della magistratura; in definitiva, se lo Stato, anche quando la sua azione è legittima e giustificata come nel caso di indagini giudiziarie, abbia un potere illimitato di conoscenza e di intromissione nella vita del cittadino.
Non è una questione di poco conto: si può sostenere che per assicurare alla giustizia criminali pericolosi non ci siano limiti negli accertamenti e quindi la libertà individuale può cedere il passo alla tutela degli interessi collettivi. Una sorta di moderno fine che giustifica i mezzi: ma siamo sicuri che possa essere davvero così? La nostra Costituzione riconosce e fissa libertà fondamentali inviolabili, senza limiti, se non nei casi previsti dalla legge: e nessuna legge ha mai disciplinato i captatori informatici. Nelle sentenze che si sono occupate di questi casi, il captatore informatico viene considerato alla stregua di una intercettazione di tipo ambientale, come una microspia installata in una casa o in un ufficio ma c’è una bella differenza rispetto a questi casi “classici” perché nel caso del captatore la cimice è installata non in un luogo ma su una persona (o meglio, sul suo dispositivo mobile, oramai compagno inseparabile di chiunque) e funziona in ogni momento, in ogni ambiente, per ogni occasione (quando delinque ma anche nella più privata intimità). Insomma, un potentissimo mezzo di intrusione, praticamente senza limiti. Il 10 marzo scorso la Corte di Cassazione si è rivolta alle Sezioni Unite, proprio per sapere se la captazione informatica sia una forma legittima di intercettazione e se i suoi risultati siano utilizzabili nei processi. In attesa della sentenza, è bene riflettere sul problema e chiarire che, al di là della questione puramente tecnica, sono in gioco valori costituzionali, come la Germania, sin dal 2008, ha perfettamente compreso, dichiarando incostituzionale la captazione informatica. Prevarrà l’interesse dello Stato alle indagini criminali oppure l’interesse individuale alle libertà fondamentali? Lo deciderà la Suprema Corte ma sarebbe molto meglio se su una questione così cruciale intervenisse il Parlamento: solo una legge, che oggi manca del tutto, può stabilire un equilibrato bilanciamento tra esigenze così importanti e non pienamente compatibili tra loro. Non è soluzione di scarso rilievo, anzi: si tratta di delineare i confini della democrazia.