La Stampa, 18 aprile 2016
Se l’uguaglianza dei sessi si fa a cavallo, anche alle Olimpiadi
Basterebbe visitare uno qualsiasi dei tanti concorsi ippici di qualunque specialità che si disputano ogni fine settimana in Italia per rendersi conto di un fenomeno evidente: il numero di bambine e ragazze in gara è enormemente superiore a bambini e ragazzi. La stessa cosa si può dire prendendo in esame i frequentatori di una qualsiasi scuola di equitazione. Le proporzioni sono davvero sconcertanti: nelle graduatorie delle prove giovanili o di quelle riservate ai pony i maschi sono rari come i quadrifogli. Ma se invece si considera la realtà agonistica di alto livello la situazione si rovescia: gli uomini predominano per quantità sia di partecipazione sia di risultati ottenuti sul campo.
Le cause
Cosa vuol dire tutto ciò? Che le donne sono mediamente meno capaci? Niente affatto, anzi: sovente le donne si dimostrano migliori degli uomini sia dal punto di vista tecnico sia agonistico; il problema sta piuttosto nel passaggio dall’adolescenza alla maturità quando le donne rallentano il ritmo dell’attività agonistica o addirittura lo azzerano, spesso loro malgrado. Ma quando rimangono nello sport i risultati parlano chiaro: il titolo di campione d’Italia di salto a ostacoli lo detiene Giulia Martinengo Marquet; Sara Morganti è la campionessa del mondo di paradressage in carica; uno dei vertici di massimo riferimento per il completo azzurro è Vittoria Panizzon; e per quanto riguarda il dressage non c’è storia: il rettangolo parla solo al femminile con Valentina Truppa che è una stella internazionale e con un buon gruppo di sue allieve che costituiscono l’ossatura della squadra italiana. Tra l’altro tre di loro vestono una divisa militare, prerogativa un tempo molto più maschile che femminile: quella dell’aeronautica Martinengo e Panizzon, dei carabinieri Truppa.
Naturalmente anche a livello internazionale la realtà è simile. Rimane famoso l’anno 1986, quando tutti e tre i titoli mondiali delle specialità olimpiche vennero conquistati da amazzoni: la canadese Gail Greenough su Mister T in salto ostacoli, la danese Anne Grethe Jensen su Marzog in dressage e la britannica Virginia Leng su Priceless in completo. O il 2006, quando il belga Jos Lansink nella finale a quattro del Campionato del Mondo di salto ostacoli dovette affrontare la statunitense Elizabeth Patton Madden, la tedesca Meredith Michaels Beerbaum e l’australiana Edwina Alexander (ma vinse lui).
Realtà unica
Poiché lo sport equestre presenta una realtà unica al mondo per quanto riguarda le discipline olimpiche: le donne gareggiano insieme agli uomini, fanno la stessa gara senza alcuna differenza dato che l’unico elemento che atleticamente potrebbe rappresentare un discrimine, e cioè la forza fisica, non è affatto determinante nel montare a cavallo, salvo in alcuni casi abbastanza rari. Sul presupposto di un valore tecnico accertato, infatti, le qualità principali di un atleta in sella sono quelle che le donne esaltano al meglio: sensibilità, pazienza, dolcezza, soprattutto quella capacità quasi «panoramica» di saper valutare più aspetti di una situazione nello stesso tempo e senza trascurarne alcuno, una specie di nobilitazione del principio per cui nel tempo che l’uomo impiega a fare una cosa la donna ne ha già fatte tre…
La tecnica in sella deve sempre e comunque riferirsi a un compagno di gara che non è uno strumento inanimato bensì un essere vivente sensibile e pensante: non è fine a se stessa, la tecnica, piuttosto un modo di comunicare con il compagno nella prospettiva di raggiungere insieme un risultato, non necessariamente solo agonistico. E questo tipo di comunicazione è mediamente gestito meglio dalle donne che dagli uomini.
Ma allora perché la quantità di risultati e di partecipazione vede gli uomini prevalere sulle donne? Perché le ragazze a un certo punto della loro vita diventano – spesso contemporaneamente – professioniste nel lavoro, mogli e madri, cosa che di frequente impone una battuta d’arresto nella carriera sportiva, a meno che il compagno non abbia a che fare con lo sport equestre. La realtà dei fatti è innegabilmente questa: il cavaliere professionista può anche avere una compagna estranea allo sport, mentre nel 95% dei casi il compagno di una amazzone è uomo di cavalli.
La maternità
Ma la maternità può rappresentare un momento difficile anche per un’amazzone professionista di carriera ben avviata; la persona può trovarsi in contrasto con sé stessa tra il desiderio di essere madre e il timore di perdere brillantezza atletica, o anche ritmo e occasioni agonistiche soprattutto se in quel periodo di tempo uno o più dei suoi cavalli fossero in un momento di grande forma: ecco allora la necessità di pianificare con lungimiranza il lieto evento, cosa che talvolta può non essere così semplice. Ed è proprio questa esclusività femminile – diventare madre – che sta all’origine di quella schiacciante prevalenza del numero delle ragazzine rispetto a quello dei ragazzini nel montare a cavallo: il senso materno originario è la spiegazione del fenomeno. Il cavallo, infatti, per quanto grande e grosso e forte, in realtà è un essere delicato, indifeso, bisognoso di cure e attenzioni; inoltre rende possibile l’uso – talvolta lo impone – di numerosi accessori sia di «abbigliamento» sia di utilizzo tecnico.
Per questa serie di ragioni una ragazzina nei confronti del suo cavallo si sente a tutti gli effetti mamma, a prescindere dall’aspetto agonistico: inoltre in tale ruolo vive una fase di forte emancipazione dai suoi genitori. Per un maschietto, invece, l’aspetto agonistico o comunque sportivo spesso è la motivazione prevalente: decaduta quella, finisce il rapporto con il cavallo e con lo sport (tutto ciò in linea di massima: per fortuna non è sempre così!). Di conseguenza i ragazzi che continuano a montare a cavallo spesso sono quelli che hanno un minimo di capacità in più rispetto alla massa di partenza, a differenza di quanto accade nel caso delle ragazze per cui la gara e lo sport sono solo due tra i numerosi aspetti del rapporto con il compagno-cavallo e con la casa-scuderia. Del resto la stessa parola equitazione – onnicomprensiva – è di genere femminile, mentre sport equestre – molto specifico – è maschile…