Corriere della Sera, 18 aprile 2016
La crisi economica colpisce anche l’Isis
Le entrate mensili dello Stato Islamico si sono ridotte del 30%, passando dagli 80 milioni dell’estate scorsa a 56 milioni nel 2016. Le casse del Califfo sono sempre meno piene e i suoi miliziani sempre più costretti a inventarsi modi nuovi per raccogliere denaro, incluse le multe per chi guida contromano, per chi non porta i calzini in strada e per chi non è in grado di rispondere correttamente a quesiti sul Corano. Lo afferma un nuovo rapporto della società di consulenza e analisi di difesa «IHS Inc.», che ha raccolto i dati nei primi tre mesi del 2016 sulla base di interviste, monitoraggio dei social media, documenti dell’Isis e del governo iracheno. «Lo Stato Islamico è ancora una forza nella regione, ma questo crollo è rilevante e aumenterà le difficoltà del gruppo a gestire il territorio nel lungo periodo», dice al Corriere Ludovico Carlino, autore del rapporto. «La crisi è costante in tutti i settori che portano denaro al Califfato», osserva Carlino. Il primo è quello delle tasse e confische che ammontano al 50% del budget e che registrano una riduzione del 23%. Una delle ragioni è che nell’ultimo anno l’Isis ha perso il 22% del territorio. Il più ristretto accesso al confine turco ha poi significato meno camion da tassare; il fatto che Bagdad due mesi fa abbia smesso di pagare i dipendenti statali di Mosul fa sì che ci sia meno denaro da estorcere. Il secondo settore è quello del petrolio (il 43% delle entrate). La produzione si è ridotta da 33 a 21 mila barili al giorno grazie ai raid Usa e, in misura minore, russi. Il calo è ancora più netto nei settori collaterali come i rapimenti, il commercio di droghe, i siti archeologici sui quali appaltare licenze ai contrabbandieri.