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 2016  aprile 16 Sabato calendario

I precedenti del caso Regeni

Nel 1923 furono trucidati i membri di una concordata missione militare italiana in territorio greco. L’episodio, noto come «eccidio di Giannina», innescò l’altrettanto nota «crisi di Corfù». L’allora capo del governo, Mussolini, nel condannare l’eccidio, inviò un ultimatum al governo greco pretendendo, sovra tutto il resto, formali scuse. Ebbene, se oggi l’Italia chiedesse al governo egiziano formali scuse per l’ormai acclarato omicidio politico di Giulio Regeni, correrebbe il rischio di vedersele respinte. Troppo sarebbe il disonore per gli scusanti. Tuttavia, se si mettesse in campo l’Ue, la richiesta assumerebbe toni e valenza ben diversi. Non crede che arrivati a questo punto, non debba più essere la sola Italia ad alzare la voce, ma l’Ue medesima? Giulio Regeni, fino a prova contraria, era un cittadino europeo.
Alessandro Prandi
alessandro.prandi51@gmail.com

Caro Prandi,
Non credo che l’eccidio di Giannina sia il migliore precedente da invocare per suggerire al governo italiano le mosse più adatte a risolvere la crisi italo-egiziana provocata dalla tragica sorte del giovane Regeni. Il caso da lei evocato risale all’agosto del 1923, quando una missione internazionale, guidata dal generale italiano Enrico Tellini, fu massacrata sul confine greco-albanese mentre ispezionava la zona per tracciare il confine tra i due Paesi. È molto probabile che i responsabili del massacro fossero una banda di briganti albanesi, ma il fatto avvenne sui territorio greco e fu l’occasione che Mussolini, ministro degli Esteri, oltre che presidente del Consiglio, dall’ottobre dell’anno precedente, attendeva per aprire una crisi con il governo di Atene.
All’origine dei cattivi rapporti italo-greci vi era la sorte del Dodecaneso: le dodici isole greche dell’Impero Ottomano che l’Italia occupava da quando se ne era impadronita durante la guerra italo-turca del 1911. Per la Grecia erano terra greca, ingiustamente dominata dai turchi. Ma l’Italia ottenne che le potenze vincitrici della Grande guerra, dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano, riconoscessero il fatto compiuto e permettessero all’Italia di conservare il suo bottino. A Mussolini quella vittoria non bastava. Voleva dimostrare che lo stile del governo italiano, dopo l’avvento del fascismo al potere, sarebbe stato energico, risoluto, inflessibile. Inviò un ultimatum alla Grecia che assomigliava a quello con cui l’ Austria-Ungheria aveva preparato la guerra alla Serbia nell’agosto del 1914, e dette ordine alla flotta di prepararsi all’invasione di Corfù, l’isola greca dello Ionio alle porte dell’Adriatico, di fronte al confino greco-albanese. Quando il governo greco non accettò le condizioni poste dal governo italiano (il riconoscimento della responsabilità e il pagamento di un pesante indennizzo), la flotta italiana bombardò la fortezza dove erano alloggiati parecchi greci fuggiti dall’Armenia turca, e l’intera città. Fu questo il momento in cui l’Inghilterra, la maggiore potenza navale del Mediterraneo, prese la guida dei negoziati. Era pronta a chiudere un occhio sul bombardamento, ma non era disposta ad accettare che Corfù divenisse un’isola italiana. Alla fine, con l’aiuto degli inglesi, fu raggiunto un compromesso: la Grecia avrebbe pagato un indennizzo pari a 50 milioni di lire e le forze militari italiane avrebbero abbandonato Corfù.
Come vede, caro Prandi, il precedente della crisi italo-greca non serve a risolvere la crisi italo-egiziana. È certamente vero, tuttavia, che il giovane Regeni è un cittadino europeo e che una deplorazione del Parlamento di Strasburgo per la riluttanza egiziana a trattare la questione con maggiore impegno non sarebbe fuori luogo.