la Repubblica, 16 aprile 2016
La scoperta tardiva di Claudio Ranieri. «A me non ha mai regalato niente nessuno, ma non ho motivi di rivalsa. Sono un uomo tranquillo»
Ormai qui lo chiamano con un certa ammirazione “the gaffer”, il capo, il saggio. Non più “tinkerman”, l’aggiustatore un po’ pasticcione, come ai tempi del Chelsea. Tutto dimenticato, poi sono esperienze anche quelle, ti forgiano, ti preparano per quando arriverà davvero il tuo momento, e chissà che non sia proprio questo. Claudio Ranieri, un italiano di 64 anni, anzi un’eccellenza italiana all’estero, un grande tecnico di calcio e un allenatore di uomini, un padre e un nonno, nel Regno Unito è l’uomo dell’anno. È a cinque partite dall’impresa «più incredibile nella storia dello sport inglese», dicono qui. L’associazione degli allenatori britannici, tra le più scioviniste del pianeta, sta per conferirgli il titolo di miglior manager della stagione: sarebbe il secondo tecnico non inglese nella storia dopo Wenger, visto che qui non hanno mai premiato neppure Mourinho, Ancelotti, Mancini o Pellegrini, considerati manager di grandi club destinati a vincere, mentre qui preferiscono eleggere chi costruisce qualcosa di davvero grande, e partendo da poco. Il mondo sta arrivando a Leicester per raccontare la favola delle “Foxes”, che ad agosto partivano come candidate sicure alla retrocessione e ad aprile hanno 7 punti di vantaggio sul Tottenham secondo.
Ranieri, ha visto? C’è uno sceneggiatore inglese che sta scrivendo un copione sulla vostra favola e vorrebbe dare la sua parte a Robert De Niro… «Ho sentito, in effetti… E che devo dire? Che almeno è un grande attore, ah ah. Ma forse la storia del film è uno scherzo, no?».
Mica tanto, il film vogliono farlo davvero.
Invece a Leicester vogliono erigere una statua in suo onore, le piace l’idea?
«In teoria sì, però da noi in Italia le statue si costruiscono quando qualcuno è morto, no? Allora dai, facciamoli aspettare».
Qui lei sta per costruire un miracolo, no?
«Quello si è già verificato: raggiungere la salvezza. Ad agosto scorso c’erano due certezze: che Ranieri sarebbe stato il primo manager licenziato in Premier e che il Leicester sarebbe retrocesso, mi ricordo tutto eh?».
Cinque partite alla fine: West Ham, Swansea, Manchester United, Everton e Chelsea. Quanto siete vicini alla meta?
«Abbiamo fatto tantissimo, ma in realtà ancora nulla. Ora bisogna ripulire i pensieri, non leggere, non ascoltare, rimanere concentrati. Lottare su ogni pallone e in ogni istante, come finora. Pensare solo alla prossima partita: il West Ham ha grandi giocatori come Payet, Carroll, Valencia, può farci male».
Lo psicologo del club giura di essere inoperoso, lavorava di più un anno fa con la squadra in zona retrocessione.
«Non vedo nervosismo nei ragazzi. Stanno convivendo bene con la pressione, che cresce. Si godono il momento. È una grande storia la nostra, ma non del tutto, non ancora. E sappiamo che questo treno passa ora o mai più. Sappiamo, e so, che questo è stato un anno particolarissimo, e che il prossimo tutto sarà diverso, magari dovremo cambiare, ma ci penseremo. E per tutta l’Inghilterra il campionato è ancora aperto, mentre se ci fosse stato il Chelsea a +7 lo consideravano chiuso: logico, siamo davanti noi, il Leicester, e tutto è ancora possibile. Giusto così. Quindi dico a tutti: wait, wait, wait… Aspettate».
Ieri lei ha pure infranto una scaramanzia: di solito stringeva le mani ai giornalisti prima della conferenza stampa ma ieri no.
«Fino a un paio di mesi fa erano pochissimi, ma ieri eravate troppi, ci avrei messo un’ora».
Cosa c’è dietro il miracolo del Leicester?
«Un gruppo di persone con caratteristiche affini che si sono magicamente trovate. I giocatori hanno il mio stesso temperamento, credono che nella vita il carattere, la tenacia, l’umiltà siano molto, quasi tutto. Ci siamo trovati e ci vogliamo bene. Amo i miei giocatori come fossero miei figli e loro ricambiano. Facciamo patti tra noi e li rispettiamo, come per i due giorni a settimana di riposo che avevo promesso: li facciamo ancora».
È vero che ha detto di voler rimanere qui altri sei o sette anni?
«E perché non otto? Col presidente c’è un grande rapporto, e nel calcio se il boss è di ampie vedute e vuole costruire davvero qualcosa, il progetto decolla».
Troppe volte in Italia il progetto non decolla, perché? E perché lei negli ultimi vent’anni ha lavorato più all’estero?
«Perché mi piace girare il mondo, conoscere, capire. Fui tra i primi ad andare all’estero negli anni Novanta, ad aprire la strada fu Capello. Mi sono sempre trovato bene: Francia, Spagna, Inghilterra. Quanto all’Italia, non ho rimpianti, niente».
Nemmeno qualche grassa rivincita da prendersi?
«Tutt’altro. Io sono un uomo tranquillo. Sono superfelice della mia vita e della mia carriera, mi ritengo superfortunato. Non ho motivi di rivalsa con nessuno, sono solo grato. Qualcuno mi ha tradito, è capitato, a Valencia per esempio, ma è la vita. Sono lo stesso di sempre, non sono cambiato, ero Claudio Ranieri prima di allenare la Grecia, un’esperienza infelice, e dopo. I greci mi addebitano addirittura due sconfitte con le Far Oer, ma io ne persi solo una! E dopo di me non hanno certo vinto, anzi hanno continuato a perdere. Lasciamo stare che è meglio».
È contento anche della carriera italiana?
«Certo. Guardi che a me non ha mai regalato niente nessuno, sono partito da zero. Dai dilettanti: Vigor Lamezia. Poi tre anni a Cagliari dalla C alla A, vincendo campionati e una Coppa Italia. Poi il Napoli subito dopo Maradona con varie soddisfazioni, compreso un 5-0 a Valencia in Coppa Uefa. Poi 4 anni a Firenze, dalla B alla promozione, una Coppa Italia, una Supercoppa, una semifinale Uefa contro il Barcellona. Poi dopo gli anni in Spagna e al Chelsea prendo il Parma quasi retrocesso a febbraio e lo salvo. Poi la Juve, mandato via quando ero terzo e quasi secondo, vabbè, c’erano incomprensioni varie. Poi la Roma e faccio 80 punti prendendola alla terza giornata, perdiamo lo scudetto all’ultima con l’Inter di Mourinho, ma il secondo anno capisco subito che c’è un’atmosfera strana, diversa, dico ai giocatori che se vogliono me ne vado, loro dicono no mister, ma dopo quel Genoa-Roma 4-3 saluto tutti».
Poi arriva all’Inter.
«Partiamo benissimo e quello mi dannerà: sette vittorie consecutive e si pensa a grandi traguardi, ma nel frattempo mi vendono Coutinho e Thiago Motta e alla fine trovarono il colpevole in Ranieri, ma posso dire di essere stato l’unico allenatore nella storia dell’Inter cui hanno solo venduto giocatori, e comprato nessuno. E finisco: vado al Monaco in Francia, vinco un campionato e in quello successivo arrivo secondo con 80 punti, dietro il Psg degli sceicchi. Secondo lei ho avuto una brutta carriera? Non direi proprio. Dicono: Ranieri ha vinto poco. Ma vogliamo parlare delle condizioni in cui erano certe squadre italiane che ho preso? E chi è venuto dopo, ha fatto meglio di me? Non credo proprio».
Ma poi il presidente federale Tavecchio l’ha mai sentito?
«Mai. Ma sono io che non mi sento pronto per la nazionale, preferisco stare qui. E dato che in Figc leggono le mie dichiarazioni, forse per questo non mi hanno telefonato».
Visto da Leicester il calcio italiano com’è?
«È magnifico e sono convinto che Conte farà un gran lavoro agli Europei». Da quassù, l’Italia sembra in un’altra galassia.