Il Sole 24 Ore, 13 aprile 2016
Guida al referendum sulle trivelle
Domenica gli italiani saranno chiamati ai 61.563 seggi elettorali per decidere con un referendum se abrogare un passo della Legge di stabilità del dicembre scorso sulla durata delle concessioni delle piattaforme attive in mare fino a 12 miglia dalla costa.
Il gioco dell’energia
Il tema è come lo shangai, l’intrico di bastoncini, perché il gioco si basa sull’abilità di sfilare un’astina senza produrre effetti negativi sulle altre. Così è l’interrelazione fra l’ecologia e l’energia, due temi difficili e strettamente collegati nei quali quando si tocca un dettaglio si rischia di compromettere un rapporto complesso.Questo referendum invece chiede agli italiani di sfilare al buio in modo netto e deciso un bastoncino, quello della novantina di piattaforme già attive nel mare.
Gli elettori, il quorum e l’astensione
Il referendum, per la prima volta in Italia, è stato chiesto non dalle consuete 500mila firme, il cui numero non era stato raggiunto, bensì da nove Regioni. Per evitare usi distorti dello strumento, la Costituzione fissa un quorum per validare il risultato, la metà dei 46.887.562 elettori più uno, e cioè domenica per accoglierne il risultato servirà la presenza al seggio di almeno 23.443.782 elettori. L’astensione è uno strumento usato da coloro che sono contrari a questo referendum; per questo motivo, al contrario, i promotori «no-triv» fanno campagna soprattutto per indurre i cittadini al voto.
Un valore politico
Questo referendum – non è il primo caso – ha travalicato il valore debolissimo del quesito per assumere un’intonazione più politica sulle scelte energetiche e ambientali oppure sul consenso del governo Renzi. Il quesito sottoposto agli italiani è assai debole perché è il superstite di un pacchetto di sei quesiti proposti dalle Regioni.
I cambi continui delle norme
La questione nasce sulle norme per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e di petrolio in Italia. Norme severissime, ma in cambiamento continuo secondo gli umori dei politici più sensibili ai “malpancismi” dell’elettorato. Il governo Berlusconi mise un limite, le 12 miglia che definiscono le acque territoriali, allo sfruttamento dei giacimenti in mare. Sono le regole di gran lunga più severe al mondo. Nemmeno la California, citata a modello, è così rigorosa. Nel 2012 il governo Monti ridusse il limite, riducendolo a cinque miglia. Alcune Regioni, visto l’insuccesso della raccolta di firme, l’anno scorso approvarono un pacchetto di quesiti referendari la cui finalità era tornare ai vincoli del governo Berlusconi. Per evitare il referendum, nel dicembre scorso il governo Renzi rintrodusse le norme berlusconiane anti-piattaforme nella Legge di Stabilità: obiettivo andato in fumo perché la Corte di cassazione e poi la Corte costituzionale respinsero cinque quesiti, soddisfatti dalla Legge di Stabilità, tranne uno. La durata delle concessioni. La Legge di Stabilità dice che il divieto di sfruttare i giacimenti nelle acque territoriali non vale nei giacimenti già in uso, che possono continuare a essere usati per la durata della vita utile. E quel quesito non soddisfatto dalla legge ora va al voto dei cittadini.
Che cosa sono le concessioni
Il sottosuolo appartiene allo Stato (è un «bene indisponibile»), il quale se non lo sfrutta in prima persona può concederne lo sfruttamento in cambio di un ricavo: le tasse sul reddito generato e le royalty, che in Italia sono fra il 4 e il 10% del valore estratto (variano se gas o petrolio, se su terra o in mare). Il ribasso del greggio ha ridotto gli incassi per lo Stato. Nel 2014 le royalty avevano generato un gettito di 401 milioni, destinato soprattutto alle Regioni e ai Comuni dove ci sono i pozzi. Altri Paesi, come Norvegia, Inghilterra e Irlanda, hanno royalty zero e hanno spostato tutto il prelievo sulla sola parte fiscale, con un rimborso alle compagnie petrolifere per gli investimenti fatti. In Italia viene sfilato alle compagnie petrolifere sotto forma di tasse e royalty, e viene ridistribuito, fra il 50 e il 68% del valore del giacimenti, in Norvegia il 78%, in Inghilterra fra il 68 e l’82%, in Francia fra il 37 e il 50%, in Canada fra il 53 e il 63%. L’Italia si colloca nella fascia medio-alta del prelievo. Le concessioni durano 30 anni; se il giacimento non è esaurito si può chiedere il rinnovo per 10 anni; poi ancora per cinque anni. Se passasse il referendum, alla prima scadenza della concessione si chiude.
Comitati contrapposti
Per il «sì» all’abrogazione c’è un comitato referendario cui aderiscono anche le Regioni no-triv, le maggiori associazioni ecologiste, numerose organizzazioni come Slow Food e Italia Nostra, comitati. Per il «no» o per l’astensione attorno al piccolo comitato Ottimisti e Razionali si riunisce un drappello sparuto fra i quali l’associazione ambientalista Amici della Terra. Divisa la Cgil: i metalmeccanici della Fiom sono nel comitato no-triv, i chimici-energia-tessili della Filctem sono a favore del «no» o dell’astensione.
1 Che cosa ci chiede, in pratica, il quesito del referendum del 17 aprile?
Verrà chiesto: volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i 44 giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se sotto c’è ancora gas o petrolio? Il quesito riguarda solamente la durata delle piattaforme già attive a 12 miglia dalla costa.
2 Che cosa non ci chiede, invece, il referendum? Non riguarda i giacimenti a terra o in alto mare?
Il quesito non riguarda in alcun modo le attività petrolifere in terraferma né le 25 concessioni in mare a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri), cioè in acque internazionali.
3 Il referendum riguarda le fonti rinnovabili d’energia, le alternative al petrolio e al gas?
Il referendum non ha alcun effetto sul settore delle fonti rinnovabili d’energia (solare, eolico, idroelettrico). Se scenderà l’estrazione di metano e petrolio dai giacimenti nazionali semplicemente cresceranno di pari misura le importazioni via nave (petrolio o gas liquefatto) o via condotta (metano), senza produrre alcun alcun effetto positivo alle fonti alternative.
4 Se dovessero vincere i «sì», saranno bloccate nuove perforazioni nei nostri mari?
Nel mare entro le 12 miglia dalla costa le nuove perforazioni sono già vietate.
5 Quante sono le piattaforme italiane, e quante sono interessate dal quesito del referendum?
Nei mari italiani ci sono circa 110 piattaforme distribuite fra 69 concessioni . Delle 69 concessioni, 44 con 90 piattaforme si trovano entro 12 miglia dalla costa e sono sottoposte al quesito.
6 Che cosa contengono i giacimenti interessati dal referendum? Petrolio o metano?
Delle 44 concessioni, 25 estraggono metano, una estrae petrolio, 4 estraggono petrolio e gas insieme e 14 sono non più produttive.
7 Che effetto avrebbe una vittoria del «sì» e quale una vittoria del «no» o dell’astensione dal voto?
Se vincesse il «sì» le concessioni esistenti entro le 12 miglia non potrebbero essere prorogate al termine di scadenza. Dal 2016 al 2034 cesserebbero progressivamente l’attività, fermando l’estrazione di metano e petrolio, il gettito fiscale e di royalty per Stato e Regioni. Vi sarebbero alcune migliaia di licenziamenti. Si perderebbero alcuni miliardi di euro in mancati investimenti. Aumenterebbero le importazioni di petrolio via nave. Se vincessero il «no» o l’astensione, le concessioni potrebbero durare fino alla vita utile dei giacimenti.
8 Che effetto avrebbe una vittoria del «sì» sulla disponibilità di metano e di petrolio?
Nel 2015 le 44 concessioni entro le 12 miglia dalla costa hanno estratto 1,93 miliardi di metri cubi di gas (il 42,8% della produzione metano in mare e il 28,1 % della produzione nazionale di gas) e 0,54 milioni di tonnellate di greggio (il 72,3% della produzione in mare e il 10% produzione nazionale di greggio).
9 Quante piattaforme dovrebbero essere chiuse nel caso di vittoria del «sì»?
Con la cessazione delle 44 concessioni interessate, sarebbe necessario chiudere 90 piattaforme e 484 pozzi .
10 Quali rischi comporta la presenza delle 90 piattaforme sottoposte a referendum?
Le 90 piattaforme hanno un impatto ambientale modesto, tuttavia le 5 concessioni che estraggono petrolio (le altre solo gas) possono produrre incidenti con effetti gravi. La sospensione della loro attività aumenterebbe il numero di petroliere in viaggio nei mari e le loro emissioni in atmosfera per importare da lontano il petrolio che mancherebbe.
Quelli del «sì»
Ecco alcune delle affermazioni del comitato referendario.
Il contenuto del quesito
Con la legge attuale, che va abrogata, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa.
L’astensione dal voto è un modo non democratico di esprimere disinteresse.
Ambiente
Il petrolio inquina l’ambiente e le piattaforme nei nostri mari sono una minaccia, come dimostrano i gravi incidenti del passato. Attraverso il referendum si tutelano definitivamente i nostri mari.
Disponibilità di energia e occupazione
Tutto il petrolio presente sotto il mare italiano sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale per 7 settimane. La fermata delle piattaforme alla scadenza delle loro concessioni avrà pochissimi effetti su imprese e occupazione.
Royalty
L’Italia chiede alle compagnie petrolifere le royalty più basse d’Europa. Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro. Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50mila tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo.
Politica energetica
Il referendum è l’opportunità di uscire da una condizione di subalternità e di entrare nel trend europeo verso la transizione basata su rinnovabili ed efficienza energetica.
L’esito del referendum potrà imporre una direzione politica precisa in materia di modello energetico e di sviluppo, mettendo al centro del dibattito pubblico le strategie energetiche per un’economia più giusta e innovativa. Le trivelle sono il simbolo della vecchia energia causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, lobby.
Le emissioni
Con il referendum si combattono i cambiamenti climatici e si applica l’impegno alla Conferenza Onu di Parigi sui cambiamenti climatici per contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi.
Economia
L’estrazione di petrolio minaccia l’ambiente, il territorio e le sue risorse.
Lo sfruttamenti dei giacimenti minaccia il turismo, che contribuisce ogni anno circa al 10% del Pil e dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di circa 160 miliardi di euro; minaccia la pesca, che produce circa il 2,5% del Pil e dà lavoro a quasi 350mila persone; minaccia il patrimonio culturale; minaccia il comparto agroalimentare, che vale l’8,7% del Pil, dà lavoro a 3,3 milioni di persone ed esporta per 34 miliardi di euro.
La Basilicata , dove ci si sfruttano grandi giacimenti, è rimasta tra le regioni più povere d’Italia e le sue attività tradizionali (agricoltura e allevamento) sono minacciate e in parte già compromesse dalle attività petrolifere.
Quelli del «no»
Ecco alcune delle affermazioni del comitato per l’astensione o per il «no».
Il contenuto del quesito
Il referendum riguarda le sole piattaforme già esistenti in mare, poiché quelle future sono già vietate, e non riguarda trivellazioni al largo o su terraferma. L’astensione dal voto è un modo democratico, previsto dalla Costituzione, di opporsi all’uso improprio dello strumento referendum.
Ambiente
La novantina di piattaforme oggetto del referendum estraggono quasi tutte metano, il petrolio è marginale. Lo sfruttamento dei giacimenti ha un bassissimo impatto sull’ambiente e sul territorio. L’Italia ha le norme ambientali più severe del mondo e le imprese più avanzate al mondo. Se si fermerà la produzione nazionale, le petroliere in più saranno un rischio per i nostri mari. I soldi sprecati per organizzare il referendum potevano essere usati per l’ambiente riparando i depuratori del Sud che inquinano gravemente il nostro mare.
Disponibilità di energia e occupazione
La chiusura delle piattaforme chiesta dal referendum ridurrà del 75% l’estrazione di metano. L’import energetico salirebbe dal 76% (2014) a oltre l’81%, vanificando la promozione dell’energia rinnovabile. Il referendum mette a rischio il lavoro di 5mila addetti diretti e 15mila dell’indotto.
Royalty
L’Italia è fra i i Paesi con le royalty più esose. Paesi petroliferi come Norvegia o Inghilterra hanno azzerato le royalty, spostato sulla parte fiscale il prelievo e concesso il rimborso degli investimenti sostenuti. Le royalty sono destinate a usi sociali come fa la Basilicata con l’assegno di cittadinanza per i poveri o con gli aiuti che consentono il funzionamento dell’università.
Politica energetica
Il referendum non riguarda la politica energetica e la vittoria del sì avrebbe come solo effetto l’aumento della dipendenza energetica dalle importazioni, vanificando lo sforzo d’indipendenza con le fonti rinnovabili d’energia.
Le emissioni
La chiusura delle piattaforme a chilometri zero produrrà un aumento delle importazioni da Paesi dove l’estrazione di metano o petrolio ha emissioni più alte e impatti più gravi sull’ambiente, e le petroliere per l’importazione aggiungeranno nuovi fumi. Ci sarà un aggravio dell’effetto serra che cambia il clima.
Economia
La chiusura dell’estrazione costerà sulla bolletta energetica italiana per 750 milioni di euro l’anno per 15 anni (complessivamente, oltre 11 miliardi). Le aziende e le tecnologie italiane del settore, con 100mila addetti, contribuiscono con 20 miliardi di export alla bilancia dei pagamenti.
Nelle aree in cui si sfruttano i giacimenti interessati dal referendum (soprattutto Adriatico ed Emilia Romagna) il turismo, la pesca e l’agricoltura di qualità soffrono la crisi meno che altrove e usano i benefici delle attività estrattive per crescere.