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 2016  aprile 14 Giovedì calendario

Due anni fa Boko Haram rapì 279 studentesse di un liceo in Nigeria. 219 non sono mai state rilasciate, ma nessuno ne parla più

La speranza è ancora viva. A due anni dal rapimento delle 276 studentesse di Chibok, una cittadina nel nord-est della Nigeria, oggi si celebra per la prima volta una cerimonia nel luogo del sequestro. Parenti delle vittime, amici, leader politici e religiosi sono sempre più determinati. Pregheranno tutto il giorno affinché le 219 giovani ancora nelle mani degli jihadisti di Boko Haram tornino a casa il prima possibile. «Il governo ci ha dato accesso alla scuola attaccata da Boko Haram due anni fa», ha spiegato ieri Lawan Zanna, segretario dell’Associazione dei genitori delle ragazze rapite a Chibok (Pagca). «Avremo una sessione di preghiere sia per i cristiani che per i musulmani e a cui parteciperanno tutti i genitori delle vittime. Speriamo infatti – ha aggiunto Zanna, la cui figlia di 18 anni è tra le studentesse sequestrate – di riuscire a riportare l’attenzione internazionale sulla vicenda». L’offensiva dei jihadisti nigeriani di Boko Haram, il cui nome è spesso tradotto in «l’educazione occidentale è peccato», ha più volte preso di mira proprio le scuole. Ma nel 2014 nessuno sembrava aspettarsi un rapimento tanto imponente.
Da allora, i militanti islamici hanno preso decine di persone ed ampliato il loro raggio d’azione. «Altre 400 donne e ragazzine sequestrate un anno fa a Damasak, nel nord del Paese, non sono mai state liberate», ha recentemente denunciato Human Rights Watch (Hrw). Una volta trasferite nelle zone controllate dai terroristi, inizia l’addestramento. Ci sono casi di lavaggio del cervello, violenze e schiavitù. L’obiettivo è trasformare le giovani vittime in “bambini-kamikaze”. Secondo le Nazioni Unite, il numero degli attentati terroristici contro i civili è infatti aumentato radicalmente in Nigeria, Camerun, Ciad, e Niger. «Da 32 attacchi suicidi nel 2014 a 151 nel 2015 – afferma un rapporto dell’Unicef –. Sono state prese di mira moschee, chiese, mercati stazioni di bus, edifici pub- blici e altri luoghi affollati». Ormai «un kamikaze su cinque mandato a morte dai Boko Haram è un bambino» afferma ancora l’organismo Onu: il numero dei bambini che si fanno esplodere in nome dei terroristi islamici è «aumentato di ben dieci volte in un anno, ed il 75% sono femmine». E I bambini utilizzati negli attacchi suicidi in Nigeria, Camerun, Ciad e Niger sono passati da 4 nel 2014 a 44 nel 2015.
I racconti delle ragazze scappate con le loro forze o liberate dagli eserciti coinvolti hanno fatto luce sul modo in cui Boko Haram opera. Spesso, prima di partire per le missioni suicide, le ragazzine vengono seviziate, affamate, imprigionate e drogate. I modi per costringerle a farsi saltare in aria sono infatti molteplici e spietati.
«Deve essere chiaro che questi bambini sono vittime, non esecutori consapevoli – afferma Manuel Fontaine, direttore Unicef per l’Africa centrale e occidentale –. Ingannare i bambini e costringerli ad atti suicidi è una delle forme più orribili di violenze perpetrate in Nigeria e nei Paesi vicini». Dal 2009, quando Boko Haram ha intensificato le azioni il reclutamento è stato costante. E ora si estende ai Paesi limitrofi: «È una situazione che va oltre la carestia – aggiunge Toby Lanzer, funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento umanitario nel Sahel –. Non abbiamo mai visto un posto più bisognoso come le zone sotto il controllo di Boko Haram affette da siccità, carestia e da una povertà estrema». Anche Mark Toner, portavoce del dipartimento di Stato americano, ha ricordato ieri il rapimento delle studentesse: «Liberatele subito e senza condizioni». Ma nonostante le promesse, comprese quelle di Barack Obama, nulla di tutto ciò è avvenuto.