il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2016
Ricordi di cinema e di vita del piccolo Marcello di “Roma città aperta”
Quando avevo dieci anni, nel 1944, (…) facevo lo sciuscià. Ero a Largo del Tritone quella mattina, se non ricordo male all’angolo con via Crispi, ma proprio vicino a quell’agenzia dove c’erano molti militari americani che entravano e uscivano dal portone, ed era primavera. (…) A un certo punto si avvicinò un signore. Mi guardò. Anzi, posso dire che mi scrutò. E io pensai che finalmente la giornata di lavoro poteva cominciare”. Quel signore non aveva, come pretendeva, quaranta paia di scarpe da fargli lustrare, ma con la promessa di dargli 20 lire al paio lo attirò in un appartamento in via Crispi. “Fu allora che mi disse: ‘Senti, ti piacerebbe fare cinema?’. Io non sapevo nulla di cinema, al massimo frequentavo il pidocchietto sotto casa, gestito dai preti della parrocchia. Avevo visto qualche volta le comiche di Ridolini, Charlie Chaplin, ma niente di più. Risposi, ricordo, ‘Basta che mi pagate…’, senza capire bene che cosa mi stessero proponendo”.
Quel signore era Roberto Rossellini, il ragazzino l’avremmo conosciuto come Marcello, il figlio di Pina, ovvero l’indimenticabile Anna Magnani di Roma città aperta. Pietra miliare del Neorealismo, epitome stessa della Resistenza cinematografica, la scena che a 70 anni di distanza ancora non ci leviamo dagli occhi è quella della corsa e dell’uccisione di Pina, con i nazisti che fanno fuoco, il piccolo Marcello che grida, si smarca dall’abbraccio di don Pietro (Aldo Fabrizi) e prende a calci un soldato: “La prima volta che girammo quel ciak, è come se lo rivedessi adesso, mi sono messo a piangere. Abbiamo dovuto rifarla quella scena. Ho pianto per almeno mezz’ora.
Mi ero talmente immedesimato in quel bambino che perdeva la madre da non riuscire più a smettere di piangere. Abbiamo dovuto rifare il ciak e ricordo che sfogai tutta la mia rabbia contro quel povero attore, al quale dovevo dare i calci, che interpretava la parte del soldato tedesco”.
A parlare è proprio Marcello, all’anagrafe Vito Annicchiarico, oggi uno splendido 82enne: i suoi ricordi, aneddoti e testimonianze sono confluiti nel volume Roma città aperta. Vito Annicchiarico, il piccolo Marcello, racconta il set, scritto dalla giornalista Simonetta Ramogida per i tipi di Gangemi Editore.
Prendendoci per mano e riportandoci sulle originarie location al Pigneto, ripercorrendo la genesi del film tra documenti, testimonianze ed emozioni, il libro dischiude del capolavoro rosselliniano un backstage umanissimo, nostalgico – quanto eravamo grandi! – e schietto: “Mentre si girava la scena delle nozze di Francesco con Pina nella sala di posa di Liborio Capitani a via degli Avignonesi, alla domanda se dovesse chiamarlo papà dopo la celebrazione del matrimonio nell’orecchio di Francesco in realtà Vito – rammenta la Ramogida – aveva risposto ‘col cavolo’”.
Ma a ridare a quell’arte eccelsa il suo sapore più autentico, la vita, è soprattutto la sovrapposizione tra la finzione di Pina e Marcello e la realtà di Anna e Vito: “Dopo Roma città aperta – confida Annicchiarico – mi chiese se volevo rimanere con lei. Si prendeva cura di me, mi preparava da mangiare e mi comprava i vestiti. In qualche modo ero entrato a far parte della sua famiglia. Mia madre naturalmente non aveva voluto”.
Come evoca Laura Delli Colli nella prefazione, su quella strada (via Montecuccoli al Prenestino) falciata da una raffica di mitra non rimase solo Pina, né la donna che la ispirò, Teresa Gullace, trucidata dai nazisti il 3 marzo 1944 in viale Giulio Cesare, ma una parte della stessa Magnani: “Non posso più vederlo, non piango, però torno a casa e sto male. Non mi invitate, non mi chiedete di intervenire, non mi va più”, diceva l’attrice del film.
Già, scordarlo è impossibile, non solo per lei: “Mi emoziona ancora, mi tocca dentro”, dice oggi Annicchiarico. In Roma città aperta non trovò solo una seconda madre, ma – il suo era disperso in Africa – un altro padre: “Rossellini mi trattava come un figlio, era sempre premuroso”. Non nutre rimpianti per quei “tempi brutti e amari, pieni di privazione e povertà”, eppure “la solidarietà, e solo quella, non era razionata: se una famiglia aveva un pezzo di pane in più lo dava a un’altra”. Dopo quel folgorante esordio, Annicchiarico ha partecipato a Cuore con Vittorio De Sica e Domani è troppo tardi, Abbasso la ricchezza! e Abbasso la miseria!, ma col cinema non sarebbe durata: “Ho sempre guardato non all’oggi, ma al domani: ho scelto il computer, ho fatto il tecnico hardware di una multinazionale”.