14 aprile 2016
Record di sbarchi dalla Libia • Mattarella contro i muri in Europa • Al Sisi assolve i servizi e accusa i media • Il part time agevolato per chi è vicino alla pensione • Per la ricercatrice italiana uccisa a Ginevra sfuma la pista della rapina
Migranti Nei primi tre mesi e mezzo del 2016 il numero degli arrivi è aumentato del 55% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Siamo a quota 23.957 persone giunte in Italia, quattromila in più anche del 2014 che fu l’anno record degli sbarchi. Arrivano dalla Libia, sono nella maggior parte africani. E questo fa aumentare la preoccupazione, perché vuol dire che questa rotta non viene ancora battuta dai profughi provenienti dalla Siria dopo la chiusura di quella balcanica. Ma anche perché — come ha confermato ieri il generale Paolo Serra, consigliere militare dell’inviato speciale Onu in Libia, Martin Kobler — in Libia ci sono un milione di potenziali migranti». Attualmente nelle strutture governative e in quelle messe a disposizione delle Regioni ci sono 112 mila persone. I centri sono «saturi» e per questo è stato chiesto ai prefetti di reperire altri 15 mila posti. La maggior parte degli sbarcati sono nigeriani (3.438), al secondo posto ci sono i gambiani (2.339) e al terzo i somali (1.812). Gli eritrei, unici ad avere diritto all’asilo pressoché automaticamente, sono solo 657 (Sarzanini, Cds).
Frontiera Nelle ore in cui tra Austria e Italia sta per materializzarsi di nuovo una frontiera, Sergio Mattarella ha detto che «non basteranno muri e barriere a proteggerci, se l’Europa non farà passi avanti come progetto comune. Abbiamo lavorato settant’anni per abbattere i muri che ci dividevano: non lasciamo che rinascano, creando diffidenze e tensioni laddove, al contrario, servono coesione e fiducia. Le barriere che dividono l’Europa sono una zavorra che ne appesantisce il cammino. Sono lieto che il rappresentante della Commissione abbia pronunciato parole chiare su quanto sta avvenendo al Brennero. Tornare indietro da Schengen sarebbe un atto di autolesionismo, per tutti» (Breda, Cds).
Regeni Abdel Fatah Al Sisi in un discorso trasmesso in diretta tv dal palazzo presidenziale ha ripetuto ieri che i responsabili della morte del ricercatore italiano sono non meglio precisate «persone malvagie». L’Egitto mantiene così la sua linea: la pista criminale oppure un complotto dei «nemici della nazione», nonostante gli attivisti per i diritti umani e gli esperti abbiano osservato che i segni di tortura sul cadavere di Regeni ritrovato il 3 febbraio scorso combaciano con il modus operandi dei servizi di sicurezza. Anche l’Italia manterrà la sua linea: il nostro governo non ha reagito ufficialmente ieri, volendo credere che il messaggio di Al Sisi sia rivolto all’interno, ma sembra evidente l’intenzione di dare al Cairo 15 giorni dal richiamo per consultazioni dell’ambasciatore Massari avvenuto sabato scorso. Se in queste due settimane l’Egitto non presenterà una risposta concreta, nuove misure potrebbero colpire turismo e intese culturali. ’altro ieri il ministro degli Esteri Sameh Shoukry ha dichiarato che Il Cairo potrebbe consegnare agli investigatori italiani i tabulati dei telefoni cellulari nella zona della sparizione di Giulio e del ritrovamento del corpo, citando la possibilità di aggirare i presunti ostacoli di incostituzionalità, esaminando questi dati all’interno del Paese. Ma ha anche aggiunto che l’inchiesta potrebbe richiedere del tempo. Per la crisi con l’Italia, intanto, Al Sisi addita come responsabili i media locali. Gli investigatori egiziani hanno agito con la «massima trasparenza» — ha sostenuto — ma «gli amici italiani non credono alla nostra magistratura a causa della nostra stampa che ripete come un pappagallo le bugie architettate nei meandri dei social network». Bugie che, ha spiegato, mettono la nazione a rischio. «Non appena è stata annunciata la morte di quel giovane, la gente tra noi ha detto che era opera delle agenzie di sicurezza egiziane… mentre è opera di persone malvagie tra noi. Noi egiziani abbiamo iniziato a diffondere queste speculazioni e menzogne, e abbiamo creato un problema per noi stessi, un problema per l’Egitto» (Mazza, Cds).
Part time Al via il part time agevolato per chi è vicino alla pensione. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha firmato, insieme con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il decreto previsto dalla legge di Stabilità che consente ai lavoratori dipendenti del settore privato che sono a non più di tre anni dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia di fare un accordo con il datore di lavoro per passare dal regime a tempo pieno a un orario parziale (dal 40 al 60% di quello normale) prendendo però una retribuzione pari a circa i due terzi di quella ordinaria. In pratica, l’orario si dimezza ma la paga no. Questo perché l’azienda verserà in busta paga i contributi di sua competenza che avrebbe invece dovuto versare all’Inps (circa il 24%). Questa parte si aggiungerà esentasse allo stipendio ricalcolato sulla base dell’orario ridotto. I vantaggi per il lavoratore non finiscono qui. Egli infatti non subirà danni sulla pensione futura a causa del mancato pagamento dei contributi all’Inps, perché essi verranno trasformati in contributi figurativi. Sarà cioè lo Stato a farsene carico. Il governo si attende un grande successo di questa misura, che punta a favorire l’uscita graduale dal lavoro (Marro, Cds).
Delitto Valentina Tarallo, 29 anni, la ricercatrice del Torinese aggredita a sprangate lunedì sera a Ginevra (vedi Fior da fiore di ieri) non sarebbe stata uccisa nel corso di una rapina. Ad alcuni conoscenti la ricercatrice aveva parlato «di un ragazzo africano al quale si era avvicinata, all’inizio lo aveva aiutato, poi era nata un’amicizia, forse l’inizio di una storia, ma lei si era presto allontanata, perché erano troppo diversi, lui era diventato un po’ possessivo, molto geloso». I testimoni dell’aggressione, almeno un paio, hanno parlato di un giovane africano, sui trent’anni, molto alto. La polizia avrebbe così identificato l’amico della dottoranda in Microbiologia molecolare: un ragazzo senegalese, 36 anni, già noto. E poi l’aggressione sembra più un agguato, l’uomo che scappa senza prendere il portafogli, l’arma che è una spranga lunga sessanta centimetri presa probabilmente da un cantiere poco lontano, abbandonata sull’asfalto dopo i colpi sferrati contro la giovane ricercatrice, apparsi da subito troppi e troppo violenti per essere la degenerazione balorda di una rapina. Infine, un testimone avrebbe raccontato di aver visto un uomo che corrisponde alla descrizione aggirarsi in strada qualche ora prima, nel tardo pomeriggio, vicino casa di Valentina, suonando anche più volte ai citofoni.
(a cura di Roberta Mercuri)