Il Messaggero, 14 aprile 2016
Anche Roma finisce sotto osservazione della Commissione parlamentare antimafia
La Capitale finisce sotto osservazione della Commissione parlamentare antimafia, unica grande città d’Italia insieme con un’altra decina di comuni, alcuni piccoli e tristemente famosi perché senza governo, causa ’ndrangheta o camorra. La decisione di monitorare anche questa volta le liste di “impresentabili” come accaduto il 5 giugno scorso per le Regionali, è arrivata dopo una mediazione tra chi non voleva che si facesse un lavoro di controllo sulle candidature in vista delle prossime elezioni comunali, e chi invece voleva che questa valutazione fosse fatta.
Così ieri la presidente Rosy Bindi è stata incaricata dall’ufficio di presidenza di presentare una proposta che prenda in esame la situazione relativa ai Comuni sciolti per mafia, a quelli che negli ultimi 3 anni hanno avuto una commissione d’accesso e sono in amministrazione straordinaria o in amministrazione ordinaria (come Roma, Brescello e Battipaglia), nonché quei Comuni che vanno al voto per pregresso scioglimento per mafia come Platì o San Luca, dove non si è mai tornati a votare per mancata presentazione di liste. Una decina in tutto, qualche migliaio di candidati, mentre, al contrario sarebbero stati forse più di 150 mila i nomi da valutare per 1400 comuni. Un lavoro enorme e impossibile da fare in un mese o poco più.
I CARICHI PENDENTI
Inoltre per ciascuno di questi comuni sarà fatta una relazione con una valutazione complessiva che andrà anche oltre i requisiti previsti dal Codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione antimafia, che già impone al candidato di non essere stato sottoposto a un rinvio a giudizio da parte del giudice. E lo conferma la stessa Bindi: «Vogliamo acquisire informazioni che vadano oltre il semplice dato giudiziario legato al carico pendente dei reati. I tempi e gli strumenti che abbiamo a disposizione sono limitati e non ci consentono di fare un lavoro totale, e qualunque campionamento sarebbe stato arbitrario». Poi sottoline: «Al di là degli strumenti che l’Antimafia possiede, le istituzioni del Paese non hanno gli strumenti anche solo per applicare la legge Severino: manca un casellario giudiziario dei carichi pendenti, manca una banca dati dei candidati, degli eletti e della loro situazione giuridica. C’è poco tempo a disposizione per le commissioni elettorali per valutare le autocertificazioni di chi si presenta alle elezioni».
Da qui l’appello al Governo di «sanare alcune situazioni con un provvedimento urgente»: in particolare viene chiesto che le Commissioni elettorali, che oggi hanno 48 ore per valutare le candidature, abbiamo una settimana per farlo. Non è poi stabilito che sia presente un magistrato nelle Commissioni elettorali per gli enti locali: la presidente sollecita anche questo, come chiede che i candidati presentino un certificato penale: la legge oggi prevede l’autocertificazione. «Vorremmo infine – conclude – che non ci fosse l’obbligo di avere un presidente di seggio del comune dove si tengono le elezioni e regole per l’incandidabilità più stringenti».
LE REAZIONI
La decisione è piaciuta a Pd, SI, M5S e An-Fdi: «Davanti all’oggettiva difficoltà di fare un lavoro su 150 mila candidature, la scelta della Commissione, di osservare i comuni a rischio, va nella giusta direzione», evidenzia Francesco D’Uva, capogruppo Cinque Stelle in Antimafia. «Abbiamo contribuito a costruire una proposta che ha raccolto, su un terreno che si prestava a polemiche strumentali, il consenso di gran parte della Commissione», aggiunge Franco Mirabelli, capogruppo Pd. Soddisfatto anche Claudio Fava (SI) e Marcello Taglialatela (An-Fdi). Contraria Forza Italia.