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 2016  aprile 14 Giovedì calendario

Anche Djokovic sa perdere. E l’ha fatto a Montecarlo

Accadde addirittura a Giulio Cesare, più vincente e noto di Novak Djokovic. Furono ben nove pugnalate, mentre l’intoccabile serbo ha subito solo otto aces. «La primavera è la stagione più pericolosa» ha dichiarato ora Nole in conferenza stampa, ma le Idi di marzo non concordano appieno con l’attuale Aprile.
Vicino a me alcuni colleghi versati nelle statistiche stanno computando da quanti giorni Djokovic non subisse più sconfitte. Per essere, al solito, impreciso, io ricorderò che non aveva più subito sconfitte in un vero torneo dal lontano Masters di Londra, contro Federer ancora dotato del nativo menisco. Anche se gli statistici stanno scovando un ritiro per cattiva salute a Dubai, contro Lopez. Un peon Lopez, direbbe uno spagnolo, non meno peon di questo Vesely, capace di affermare, in perfetto lialese «Non so se ridere o piangere».
Detto ciò, rimane da spiegare a chi non ha assistito al match, come i seimila italiani che popolavano oggi il Club di Montecarlo, la ragione della vittoria di Jiri Vesely, N. 55 del mondo. Non basta, probabilmente, affermare che le sue origini, insieme a quelle degli ex-jugoslavi, sorgono dal paese più adatto al tennis, anche secondo il famoso professor Pittard, autore de Les Races et l’Histoire. Dalla Boemia sono venuti troppi campioni, a partire dal Re Rodolfo secondo, per giungere sino a Drobny e alla Navratilova. Vesely era un tipo talmente incostante da indurre in errore anche il vecchio scriba, che l’aveva visto superficialmente da junior, e una volta di più si era sbagliato, predicendogli un futuro strettamente legato alla sua ammirevole gestualità, non alla psiche, che spessissimo non coicidono. Figlio di un maestro, aveva seguito Papà in Germania, mi diceva un vicino di banco tedesco, a passarvi elementari e medie, sinchè le migliorate condizioni del suo paese natio non l’avevano sottratto ad un futura sudditanza ad Angela Merkel. Al suo quinto anno di precoce professionismo era salito l’anno passato al N. 35.
Si è giovato oggi, oltre alla nativa creatività, di una media di sei prime di battuta ogni dieci, divenute sei nel decisivo terzo set. Si è lasciato aiutare da un diritto liftato esplosivo, e una continua aggressività, involontariamente propiziata dalla irregolarità e dalla lunghezza, dovrei dire cortezza, dei rimbalzi di Nole. Non ha, soprattutto, mai dubitato di se stesso, come poteva accadere quando il suo vantaggio è apparso decisivo.
Vincerà il torneo? mi domanda un’ignota aficionada diretta al pullman in partenza per l’Italia. «Glielo auguro, cara signora, ma non credo proprio. Per ora rimane il numero 55 del mondo, in una giornata irripetibile».