Corriere della Sera, 14 aprile 2016
Andreotti e Genscher, fatti per non intendersi
La brusca reazione di Genscher nei riguardi di De Michelis, irritato per il segreto mantenuto con gli alleati sul negoziato che aveva preceduto la riunificazione tedesca (Corriere, 2 aprile), è in consonanza con i malumori del ministro tedesco con Andreotti. Questi, quando cominciarono a circolare le prime indiscrezioni sulla riunificazione, rilasciò un’intervista al Corriere nella quale dichiarava, se ben ricordo, di essere d’accordo con il francese Siegfried che diceva di amare tanto la Germania da preferire che ne esistessero due. Che cosa diceva esattamente quell’intervista? Fu la causa della tensione tra i due uomini politici o esistevano anche altre ragioni per la freddezza che caratterizzò i rapporti di Genscher con Andreotti?
Francesco Mezzalama
Caro Mezzalama,
Andreotti e Genscher sembravano fatti per non intendersi. Il primo era nato a Roma nel 1919, era cresciuto in un ambiente fortemente cattolico, se non addirittura ecclesiastico. Aveva militato nella Fuci (la Federazione degli universitari cattolici), palestra e vivaio della classe dirigente della Democrazia cristiana. Aveva diretto il suo giornale e ne era diventato presidente, nel 1942, quando il predecessore, Aldo Moro, era stato chiamato alle armi. Il secondo era nato nel 1927 a Halle, in Sassonia, uno dei land più protestanti della Germania. Andreotti fu esonerato dal servizio militare per «deperimento organico»; mentre Genscher fu richiamato nel 1943, divenne membro d’ufficio del partito nazista, cadde nelle mani degli americani alla fine del conflitto e passò in prigionia un paio mesi. Il primo era sottile, cauto, paziente, ironico; il secondo era brusco, tagliente, imperioso.
Ma nel 1990, l’anno cruciale che precedette l’unificazione tedesca, le loro divergenze non erano soltanto caratteriali. Per Genscher la caduta del muro era una occasione irripetibile; e l’unità della Germania era un obiettivo improvvisamente a portata di mano; per Andreotti, la prospettiva di una grande Germania comportava rischi che sarebbe stato meglio evitare. L’uomo politico italiano non era solo. Le sue paure erano condivise dal Primo ministro britannico, Margaret Thatcher, e dal presidente francese, François Mitterrand. Quest’ultimo, in particolare, temeva che l’unificazione della Germania avrebbe alterato i rapporti di forza fra i due partner dell’asse franco-tedesco e pregiudicato il primato politico che la Francia, nonostante la minore importanza della sua economia, aveva esercitato fino ad allora. Le preoccupazioni francesi divennero evidenti quando Mitterrand decise improvvisamente di fare una visita ufficiale nella Germania dell’Est nel dicembre 1989. Era un modo per dire che lo Stato comunista esisteva e meritava di continuare a esistere.
Le preoccupazioni francesi, inglesi e italiane divennero irrilevanti non appena l’unità della Germania fu accettata dai due maggiori protagonisti della Guerra fredda. Quando Genscher poté contare sul consenso degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, la sua partita era vinta.
Ancora una osservazione, caro Mezzalama. L’ironica battuta di Andreotti sulle due Germanie, che lei attribuisce al geografo francese André Siegfried, sarebbe stata scritta da un grande romanziere francese, François Mauriac, nella sua rubrica settimanale sull’ Express. Non è sorprendente. Le battute felici e intelligenti hanno sempre molti padri.