MilanoFinanza, 13 aprile 2016
Se Londra esce, Goldman Sachs ci rimette
Un immenso cantiere nel cuore di Londra è la prova della scommessa da 500 milioni di dollari di Goldman Sachs sull’influenza finanziaria esercitata a livello globale dalla City. Ma la nuova sede europea dell’istituto potrebbe ritrovarsi un po’ più vuota del previsto se la Gran Bretagna a giugno voterà per lasciare l’Unione Europea, riferiscono gli stessi vertici della banca.
L’avvertimento segna una svolta in quella che si sta trasformando in una disputa sempre più accesa sulla possibilità che l’Inghilterra opti per la Brexit: i gruppi finanziari che hanno più da perdere non sono né europei né britannici. Per anni le grandi banche di investimento statunitensi, svizzere e giapponesi hanno sfruttato la Gran Bretagna come trampolino di lancio nel settore finanziario dell’Ue. La principale attrazione? Il diritto di vendere senza soluzione di continuità in ventotto Stati senza dover ottenere l’approvazione delle autorità di ogni singolo Paese.
La Gran Bretagna è un hub europeo per la negoziazione dei derivati e delle valute. Secondo Fitch Ratings, circa metà dei 6.900 miliardi di sterline di asset bancari nel Paese è detenuta da istituzioni non britanniche. Per risparmiare sui costi e costruire economie di scala, le banche hanno concentrato ampie sezioni delle operazioni globali in Inghilterra.
Con il referendum del 23 giugno questa struttura potrebbe essere spazzata via. Secondo Chris Bates, socio dello studio Clifford Chance, che assiste diverse banche in tema di Brexit, i grandi istituti internazionali «hanno più da perdere». Nessuno sa esattamente che cosa succederebbe se la Gran Bretagna votasse per l’uscita. Il processo potrebbe richiedere anni. Il Paese potrebbe essere in grado di negoziare l’accesso all’Ue per le proprie banche. O anche no. Tuttavia, di fronte alla prospettiva di spendere miliardi di dollari per l’adeguamento dell’esercizio, il settore bancario sta fortemente spingendo contro la Brexit. E Goldman Sachs suona la carica. Da tre anni, i vertici mettono pubblicamente in guardia sugli svantaggi di un allontanamento dall’Ue. A quanto pare, la banca avrebbe donato circa 700 mila dollari a un gruppo di pressione contro la Brexit, suoi esponenti hanno firmato lettere aperte di avvertimento alla stampa britannica. E una bandiera dell’Ue sventola sulla sede di Londra. Lo scorso autunno l’istituto ha organizzato eventi a margine delle conferenze del Partito Laburista (all’opposizione) e del Partito Conservatore per discutere del ruolo della Gran Bretagna in Europa. A gennaio, nel corso del World Economic Forum di Davos, Gary Cohn, presidente di Goldman, ha ribadito il collaudato monito: «Per il Regno Unito è un imperativo mantenere nel Paese l’industria dei servizi finanziari», aggiungendo di non avere idea di che cosa potrebbe sostituire questo comparto. La propaganda delle banche statunitensi ha avuto l’effetto di inimicarsi chi, spesso gli intermediari più piccoli o gli hedge fund, sostiene che il settore finanziario britannico sarebbe meno strettamente regolamentato al di fuori dell’Ue e quindi prospererebbe. «Perché gli americani dovrebbero essere interessati a ciò che è bene per la Gran Bretagna?», ha provocato Howard Shore, presidente esecutivo di Shore Capital Group. «Sono interessati a ciò che è bene per le loro banche». L’area commerciale europea è stata una manna per Goldman Sachs. Nel 1970 la banca d’investimento è approdata a Londra con cinque persone. Dopo la deregulation del settore finanziario britannico degli anni 80 è partita una rapida espansione. Nonostante il focus su Londra, le attività di Goldman si sono estese in tutto il Vecchio Continente con sale trading a Francoforte, Parigi e Milano. Il 1999, l’anno di nascita della moneta unica, ha posto fine a tutto questo. La banca non aveva più bisogno di grandi uffici in vari Paesi europei a caccia di affari nelle diverse valute. Goldman ha impiegato tanti anni nell’assorbimento delle attività europee per concentrarle a Londra e consentire la centralizzazione dei costi di gestione dei clienti. Nel resto dell’Europa è rimasta una manciata di uffici principalmente per i team di vendita. Attualmente Goldman serve da Londra anche i clienti di Africa e Medio Oriente. Circa il 90% delle 6 mila persone dello staff europeo è situato a Londra. Europa, Medio Oriente e Africa hanno contabilizzato il 27% dei 33,8 miliardi di dollari di entrate nette del 2015. Peraltro, una decina d’anni fa è stato varato Armada, il progetto di un mastodontico quartier generale europeo sul sito di una vecchia centrale telefonica di Londra. Smembrare questo genere di struttura sarà costoso e richiederà molto tempo.
Un’ampia porzione della contrattazione di valori mobiliari in euro si svolge attraverso Londra, al di fuori della zona euro. Nell’ipotesi di una Brexit, le autorità europee potrebbero insistere perché la negoziazione di titoli in euro sia assolta all’interno del blocco commerciale. Un altro indovinello? Quanto personale di back office dovrà lasciare Londra per dare supporto a questa attività di trading e di vendita? È probabile che le autorità europee vorranno che il coordinamento dei team di compliance avvenga in loco. Altri ruoli non dovrebbero essere interessati dagli effetti della Brexit, come la consulenza all’attività di m&a, che potrà ancora essere gestita da Londra. Il business legato a società con sede al di fuori dell’Ue dovrebbe rimanere per lo più inalterato. Inoltre, nel 2019 dovrebbe entrare in vigore la versione riveduta di una direttiva europea che consentirebbe alle società di investimento non europee di fare affari in tutta l’Ue, se hanno sede in un Paese con una regolamentazione adeguata. Molti legali sono fiduciosi che la Gran Bretagna abbia i requisiti e questo risparmierebbe molti mal di testa alle grandi banche. Ma è improbabile che la Gran Bretagna perda il business bancario internazionale dall’oggi al domani. Fuso orario, lingua, common law e il fascino della City stessa attutiranno il colpo. Inoltre, Goldman Sachs sta tuttora procedendo con la costruzione del super quartier generale europeo a Londra. L’edificio futuristico aprirà i battenti nel 2019 e la banca ha anticipato che affitterà gli eventuali piani vuoti ad altre società.