ItaliaOggi, 13 aprile 2016
Quelle venti famiglie arabe che gestiscono i delinquenti di Berlino
Ieri all’alba, lo speciale comando per la Organisierte Krminalität, Ok, ha compiuto a Berlino una vasta operazione con quasi 300 agenti perquisendo 14 appartamenti di famiglie arabe. Ha compiuto cinque arresti, e sono stati denunciati diversi membri del clan di Mahmut al Zain, soprannominato Der Präsident, uno dei capi più temuti della metropoli.
Che l’azione ottenga risultati concreti è molto dubbio.
«Berlin ist verloren», denuncia Die Welt, la capitale è perduta, nelle mani di clan arabi. A Berlino operano da anni diverse mafie, ognuna con la sua specialità, la mafia rossa, formata da ex militari russi subito dopo la caduta del Muro, o la mafia gialla, o le organizzazioni criminali dei paesi dell’ex blocco sovietico, romene, bulgare, o polacche. Queste ultime specializzate nello spaccio di droghe sintetiche prodotte nei laboratori di Varsavia o di Stettino. Gli italiani lanciarono una campagna mediatica «Pizzo, nein danke», ma fu un’operazione che servì a far carriera politica a qualcuno. Qualche cane sciolto avrà chiesto il pizzo ai nostri ristoratori, ma la vera mafia è attiva ormai a Francoforte, nelle banche, dove ricicla i miliardi della droga.
Una ventina di grandi famiglie provenienti dal Medio Oriente, quasi tutte dal Libano, sono giunte a Berlino già verso la fine degli Anni Settanta, e almeno la metà si è subito dedicata a attività criminali, denunciano le autorità, che ammettono la loro impotenza. Ora, il pericolo aumenta a causa dell’arrivo di migliaia di profughi. Sui giornali si mostrano di preferenza foto di donne e bambini piccoli, ma la maggioranza di chi arriva è formata da giovani maschi soli. Davanti ai centri di accoglienza, scrive il quotidiano, si vedono in sosta lussuose limousine. I capi clan reclutano i nuovi arrivati con la promessa di facili guadagni e la rassicurazione: «Una prigione tedesca è sempre meglio della guerra a casa tua». Anzi, l’essere finito in galera per qualche tempo è un titolo di merito. Si promette che in caso di arresto il clan provvederà a mandare soldi ai parenti, rivela la polizia, ma questo di rado avviene.
I giovani, che in gran parte arrivano dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Algeria, sanno di non aver diritto all’asilo, e che verranno prima o poi rimandati in patria. E molti preferiscono sparire subito dai centri, grazie alla protezione dei clan. Di recente, due colpi spettacolari al KadeWe, lo storico grande magazzino, e al casinò dell’albergo Hyatt, a pochi metri da dove si svolge il Festival del cinema, sono stati compiuti da bande di arabi. Una specialità è il furto di auto, ma eseguito in grande stile. Vengono aperte piccole società di noleggio, nelle strade degli emigrati. Pochi mesi dopo, dichiarano fallimento, le vetture spariscono, portate all’est. La frontiera polacca è a 80 chilometri, quella céca a un paio d’ore di autostrada. E alle frontiere non ci sono controlli.
Anche la malavita tedesca si arrende. La prostituzione nel centrale quartiere di Schöneberg è sotto il controllo degli arabi: le ragazze provenienti dall’Europa dell’est, devono cedere il 60 per cento degli incassi. E i protettori tedeschi devono passare la metà dei loro guadagni agli arabi, se vogliono continuare a lavorare. «La tattica è semplice, racconta il procuratore capo Kamstra, gli arabi stabiliscono il primo contatto come clienti e obbligano le ragazze a rivelare il nomi dei loro protettori».
«È difficile orientarsi in queste organizzazioni familiari, ammette il Kriminaldirektor Dirk Jacob, sono clan chiusi, rispettano una rigida omertà, e solo con lunghe indagini riusciamo a volte a identificare i capi. In caso di scontri tra bande, con feriti o morti, abbiamo solo poche ore per trovare i testimoni e raccogliere le loro dichiarazioni. Dopo, nessuno parla. La banda li ha già scovati prima di noi e li minaccia di morte se parlano».
A Berlino continuano ad arrivare dal Libano grosse somme che vengono subito investite in attività illegali, o in negozi e ristoranti che servono da copertura. «La legge non ci aiuta, si lamenta Dirk Jacob, a volte durante una perquisizione troviamo cento o duecentomila euro in contanti a casa di un arabo che ufficialmente vive grazie all’assegno sociale di 400 euro al mese. Ma per denunciarlo siamo noi a dover provare che queste somme provengono da attività criminose. Ovviamente, è impossibile».