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 2016  aprile 13 Mercoledì calendario

I farmaci che ci faranno diventare dementi più tardi

L’universo dei farmaci è di fronte a una svolta: superare le vecchie linee-guida per scovare approcci più efficaci ed escogitare strategie alternative. Le sfide sono numerose, a cominciare da emergenze endemiche come le malattie neurodegenerative e i disturbi psichiatrici, ma anche il dolore cronico.
Di sicuro le sfide consistono, prima di tutto, nel trovare al più presto nuove molecole. Ma tenendo presente un nuovo concetto: la farmacologia considera sempre più i disordini del cervello – e non solo – non come malattie nel senso tradizionale del termine, ma evoluzioni fisiologiche legate all’invecchiamento. Come la presbiopia o la menopausa. E allora la parola d’ordine non è più solo «curare», ma soprattutto rallentare la progressione delle degenerazioni. Le sperimentazioni secondo questa filosofia sono numerose: per esempio con le cellule staminali in grado di sostituire le cellule di tessuti degenerati o con farmaci che antagonizzano i meccanismi che causano la morte dei neuroni, come accade con Alzheimer, Sla o Parkinson.
A svelare problemi e opportunità sarà il farmacologo Salvatore J. Enna, professore dell’Università del Kansas e presidente dell’International Union of Basic and Clinical Pharmacology. Dopodomani interverrà all’Università di Bologna, su invito della Società Italiana di Farmacologia e ospite di Patrizia Hrelia, ordinario di tossicologia. La farmacologia – spiega Enna alla vigilia della «lecture» – deve aumentare il tasso di successo nella scoperta di nuove molecole, anche se l’impresa non sarà facile né immediata: «Di fronte alle demenze e alle malattie neurodegenerative, ma anche ai disordini dell’umore, dobbiamo ammettere che non conosciamo abbastanza della neurobiologia che c’è alla base».
Molte malattie infettive sono risolvibili in modo definitivo, perché a provocarle c’è un agente patogeno identificabile e, quindi, anche prevenibile: l’arma sono vaccini e terapie. Nel caso delle malattie neurologiche, invece, ci si trova di fronte a sindromi multifattoriali: molte restano sconosciute e altre non sono eliminabili. Non stupiamoci: curare il cervello non è come curare una frattura o un’influenza.
«Gli antidepressivi per esempio – continua Enna – sono ancora le molecole scoperte negli Anni 60 e le poche innovazioni riguardano il miglioramento della sicurezza e della diminuzione degli effetti collaterali. Ma restano carenti dal punto di vista dell’efficacia». Poiché, probabilmente, la maggior parte delle affezioni del sistema nervoso centrale non avrà mai una cura definitiva – puntualizza Enna – la farmacologia si sta attrezzando per cronicizzare queste condizioni. Così è e sarà sempre più anche per il cancro che, «sebbene in molti casi non sia eradicabile del tutto, potrà essere tenuto a bada da farmaci di nuova generazione».
D’altra parte, l’organismo, invecchiando, diminuisce le performance: è meno capace, per esempio, di smaltire il colesterolo fino a che, a una certa età, ricorriamo alle statine. È una soluzione sempre più condivisa. Meno accettabile ci sembra il fatto che cancro e malattie neurodegenerative appaiano a causa dei processi di invecchiamento. Ma si tratta di leggi biologiche. In questi casi non esisterà mai un farmaco definitivo, a meno di elaborare terapie geniche che riportino indietro l’orologio dell’età biologica.
«Tra le sfide della ricerca – prosegue – c’è poi quella di ripensare la farmacologia del dolore cronico: la modulazione del dolore, infatti, è un altro mistero – avverte –. Ora si studiano alternative ai classici medicinali, alla lunga poco efficaci. Si tratta di farmaci che “addormentino” il dolore, tenendolo in stand-by». Se in futuro si lavorerà molto su questi disturbi – continua il professore – è vero anche che la ricerca ha già conosciuto una notevole accelerazione, soprattutto nell’analisi del sistema immunitario e delle sue relazioni con numerose malattie. «Oltre a essere implicato nelle funzioni del sistema nervoso centrale e delle sue patologie – spiega – è il primo baluardo nei confronti delle cellule mutate, quelle che potrebbero dare origine a un tumore».
Se non possiamo ancora riportare indietro le lancette del tempo, ci si sta concentrando sempre di più sulla prevenzione. Una scommessa diventa quindi capire come rafforzare proprio il sistema immunitario: uno scudo naturale contro le malattie prima ancora che si manifestino.