Corriere della Sera, 13 aprile 2016
In un libro le lettere degli uomini al fronte per capire cos’è stata la Grande guerra
«Ieri a furia di lavorare siamo riusciti ad aggiustare una stuffa che trovasi nella nostra capanna. Aggiustata ed accesala siamo arrivati a 26 gradi sopra zero. Siamo stati costretti ad aprire perché ci sembrava di soffocare. Oggi l’abbiamo accesa solo per qualche ora e si sta benissimo. Saremo fortunati ma la guerra noi la facciamo con le nostre comodità (sinché è possibile)».
Comodità! La lettera spedita cento anni fa (8 aprile 1916) da Efisio Atzori, vent’anni, cagliaritano, scaraventato al fronte sullo Stelvio, è un documento piccolo ma prezioso. Perché mostra come sia cambiato, in un secolo, la percezione del disagio, del sacrificio, dello spirito di adattamento. E come sia difficile oggi, per noi, capire davvero cos’è una guerra: «Dopo 12 giorni passati nei ghiacciai dell’Adamello sono finalmente ritornato giù», scrive ancora Efisio un mese dopo, «La vita lassù è impossibile descrivervela. Di notte il freddo ha segnato 30° sotto zero…».
L’intero libro da cui son tratte le lettere, L’Italia in guerra 1915-1918, di Massimo Birattari, edito da Feltrinelli nella collana Kids, è in realtà ricchissimo di storie e aneddoti in grado di catturare l’attenzione dei ragazzi ai quali è dedicato. La guerra al di là delle date, delle battaglie, delle vittorie e delle sconfitte. Ci trovi i 1.200 taxisti parigini che portano al fronte 4.000 fanti. La «strage degli innocenti», la morte vicino alla belga Ypres di 25.000 studenti volontari, compagni di scuola e di università, spazzati via dalle truppe inglesi addestratissime dalle guerre coloniali. E poi i canti di Natale in latino cantati in coro, insieme, sulle trincee opposte. La partita di calcio improvvisata tra «nemici» in una breve tregua con ribrezzo di Adolf Hitler: «A voi tedeschi non è rimasto neanche un po’ di senso dell’onore?». Diari come quello di Paolo Caccia Dominioni: «Voglio la guerra, sì, per tradizioni risorgimentali di casa… Ma se dovessi confessarmi direi onestamente: voglio ardentemente la guerra per sanare la mia tragedia di vigliacco davanti alle dispense, di imbelle di fronte alla commissione d’esame». Testimonianze terrificanti come quella del colonnello Angelo Gatti: «Chi scendeva nelle trincee sentiva già il viscidume e il lezzo della decomposizione. Quelle budella della terra, squarciate là sotto il cielo azzurro, erano spaventose. Fumavano sempre, come le viscere puzzolenti delle bestie scannate da poco». Era l’Europa della macelleria nazionalista. Dei confini «sacri». E veder riemergere certi nazionalismi, oggi, mette spavento…