il Fatto Quotidiano, 12 aprile 2016
Meglio intervistare Pol Pot piuttosto che Madre Teresa di Calcutta. Ancora a proposito delle critiche a Vespa
Lo dico subito: i cattivi sono i migliori da intervistare. Se mai incontrerò per strada Adolf Hitler (lo sapete vero che non è morto ma vive in una estancia nella pampa argentina?) gli chiederò subito un’intervista. Gli farei una serie infinita di domande e sfido qualunque dirigente della Rai a dirmi: “No grazie, non la mandiamo in onda. Noi siamo servizio pubblico”.
Non si è ancora bene capito che cosa significhi servizio pubblico, l’unica cosa certa è che il compito del bravo giornalista è quello di individuare personaggi fuori dal comune e storie appassionanti per porgerle educatamente ai lettori. È per questo che vorrei intervistare Pol Pot piuttosto che Madre Teresa di Calcutta. E passerei ore ad ascoltare quel gentiluomo di Harry Truman, il presidente americano che sganciò una bomba atomica sulla città di Hiroshima uccidendo all’istante 80 mila civili.Meglio un’intervista con Nelson Mandela? Ma va’. È preferibile indagare nella psiche di un serial killer oppure in quella di un bravo parroco di campagna? Meglio Lucrezia Borgia o Santa Lucia? Se in una stanza ci fosse Dio e in quella accanto Satana, io mi fionderei dal re dei diavoli. A questo punto arriverebbe da me Rosy Bindi a dirmi che si tratta di “negazionismo diabolico” e che l’intervista contiene “messaggi satanici in codice”?
Stiamo parlando di Bruno Vespa e del figlio di Totò Riina. Salvo Riina si è beccato otto anni per mafia e adesso si vendica scrivendo un inutile libro che spero nessuno compri nonostante la pubblicità che gli stiamo facendo. Salvo non parla delle decine di morti ammazzati dal padre. Parla di quanto il padre amasse la mamma. “È la prima volta che si vede dall’interno come funziona una famiglia mafiosa”, ha detto Vespa con orgoglio. Vespa ha fatto una intervista, il mattone del mestiere giornalistico, ha fatto il suo dovere. E ha scatenato l’inferno perché “non si dà la parola ai mafiosi”. Vespa ha ricordato Sergio Zavoli, Enzo Biagi, Michele Santoro, Joe Marrazzo che hanno intervistato Ciancimino, Buscetta, Cutolo, Liggio, Sindona. Ma niente da fare. La diligenza del politicamente corretto è inarrestabile. A me non resta che farmi l’esame di coscienza.Io che cosa avrei fatto? Ho intervistato fior di mascalzoni, terroristi, rapinatori, truffatori. Lutring, Dell’Utri, Greganti, Morucci, Alberto Franceschini, Adriana Faranda, Licio Gelli. Tutte interviste di cui vado fiero.
Intervistare le persone buone e giuste è noiosissimo. Quando incontrai la Faranda, una degli esponenti più importanti delle Brigate Rosse, era l’11 settembre 2001. Ricordate la data no? Io e Adriana Faranda, tutta la giornata a guardare le Torri Gemelle bruciare mentre centinaia di persone morivano tra le fiamme, si buttavano nel vuoto, rimanevano schiacciate nel cemento mentre le Torri cadevano e ricadevano e gli aerei continuavano a infilarsi dentro di loro e a farle esplodere centinaia di volte in una specie di macabro videogioco. Io lì, a vedere il terrorismo moderno del Ventunesimo secolo accanto ad Adriana Faranda, la terrorista arcaica del Ventesimo secolo. Lei si dichiarava scandalizzata che il terrorismo potesse arrivare a quel livello di efferatezza. Le facevo notare la sua incoerenza. Ma lei spaccava il capello in quattro: noi eravamo guerriglieri, questi sono terroristi. L’intervista durò nove ore: era un evento. L’intervista è sempre un evento. Per questo i discorsi contro Bruno Vespa sono senza senso. L’intervista è un incontro al quale non si può rinunciare. Parlare di “opportunità” di una intervista per un giornalista della mia generazione è peccato mortale. Possiamo, certo, criticare Salvo Riina per le sciocchezze che ha detto e la mancanza del minimo sindacale di umanità dimostrato. Ma, ragazzi, quello è un mafioso, mica Nonna Papera. Volevamo che chiedesse scusa ai parenti delle vittime?
Poi si può discutere se Bruno Vespa è stato all’altezza della situazione. Forse avrebbe potuto prepararsi meglio, avrebbe dovuto affrontare Salvo Riina con maggior “disgusto”, parlo in senso tecnico, non morale, fargli notare di più l’idiozia delle cose che diceva. Ma ha ragione Carlo Freccero: quegli occhi del figlio di Riina, mentre guardava le immagini della strage di Capaci, mentre parlava dei valori che il padre gli aveva trasmesso, sono indimenticabili. E questo lo dobbiamo a Vespa che adesso tutti svillaneggiano. Quando io ho intervistato Bruno Vespa, dieci anni fa, gli ho fatto le domande più sgradevoli. Lui ha risposto con educazione e leggerezza. E il giorno dopo mi ha mandato un’email. “Caro Claudio, grazie per l’intervista. In fondo, sei meno carogna della tua fama”. Io l’ho presa per un complimento.
P.s. nel mio biglietto da visita c’è scritto: “Non ha mai votato Dc, non è mai andato a Capalbio, non è mai stato a Porta a Porta”.