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 2016  aprile 12 Martedì calendario

Se l’Isis avesse l’atomica

Al vertice sulla sicurezza nucleare che si è tenuto a Washington, Barack Obama ha detto che se l’Isis avesse l’atomica la userebbe. Ma contro chi? Contro i Paesi occidentali che già l’hanno? Manco a pensarlo: chi di atomica ferisce, di atomica perisce. Sarebbe più facile contro quelli che non l’hanno, come l’Italia. Questi Paesi, atomicamente disarmati e pertanto più vulnerabili, dovrebbero mettersi in prima fila per impedire che l’Isis acquisisca un arsenale atomico anche solo rudimentale. Lo stanno facendo o pensano di lasciare la patata bollente ai Paesi atomicamente armati, come fosse «cosa loro», cioè di chi ha già le mani in pasta nel nucleare?
Alessandro Prandi
 
Caro Prandi,
Il monito del presidente americano è giusto e opportuno. Vi sono almeno due motivi per cui l’Isis, se avesse un ordigno nucleare, potrebbe usarlo. In primo luogo ha già dimostrato che molte delle sue più clamorose iniziative non rispondono alle strategie politiche e, tutto sommato, razionali di uno Stato in guerra. Massacra e decapita i suoi prigionieri per terrorizzare i militari del campo nemico e per dimostrare alla pubblica opinione che la sua ferocia non ha limiti. Distrugge le grandi opere del passato per dare prova del suo disprezzo per le tradizioni culturali dell’Occidente. In entrambi i casi ritiene, non senza ragione, che una tale esibizione di trasgressiva violenza possa accendere la fantasia dei giovani e rappresentare un eccellente bando di reclutamento. L’uso di una bomba sporca potrebbe avere, agli occhi dei suoi dirigenti, lo stesso valore. L’obiettivo bellico, in questa prospettiva, conta fino a un certo punto. L’Isis sceglierebbe il bersaglio fra quelli che possono essere più facilmente colpiti e comportano minori rischi per gli esecutori.
Il secondo motivo è il sentimento della propria relativa impunità. Uno Stato tradizionale, dotato di un territorio, di istituzioni permanenti e di un popolo proprio, sa che l’uso di un ordigno nucleare lo esporrebbe a un micidiale e decisivo secondo colpo. Ma il territorio dell’Isis è soltanto una sorta di accampamento e il suo popolo è una massa di prigionieri che l’organizzazione, probabilmente, non esiterebbe a sacrificare. Potrebbe una potenza nucleare occidentale reagire a un colpo dell’Isis lanciando un missile nucleare contro la città di Mossul in Iraq o di Raqqa in Siria?
Non è con l’arma nucleare, quindi, caro Prandi che riusciremo a sconfiggere l’Isis. La guerra con lo Stato Islamico è il più asimmetrico dei conflitti combattuti dopo la fine della Seconda guerra mondiale, uno scontro in cui il nostro nemico ha armi (il suicidio dei suoi «martiri») di cui noi non possiamo disporre. Sarà vinto quando riusciremo a logorare le sue unità combattenti sul terreno, a smantellare le sue reti con l’intelligence e, soprattutto, a incrinare il fascino che l’organizzazione ancora esercita su alcune fasce giovanili delle società musulmane.