La Lettura, 10 aprile 2016
Coleotteri, il catalogo è questo
Pronti a tutto: ai Musicanti di Brema di Cattelan (la sovrapposizione di un asino, un cane, un gatto, un gallo impagliati); alla Impossibilità materiale della morte nella mente di un essere vivente (curiosa definizione dello squalo data da Damien Hirst); a Heritage di Cai Guo-Qiang (un branco molto eterogeneo di animali della savana); alla serie P ix-Cell di Kohei Nawa (uno zoo di vetro). L’arte contemporanea propone da tempo sempre nuove versioni dei bestiari medievali (quelli raccontati da Michel Pastoureau in un saggio pubblicato da Einaudi nel 2012), affollati da creature fantastiche (una per tutte: il mirmicoleone o formica-leone del Physiologus ), capaci di fornire insegnamenti morali. Una passione che ha prodotto una mostra come Becoming animal al Massachusetts Museum of Contemporary Art nel 2013. E che non ha trascurato nemmeno gli insetti, creature solo all’apparenza meno vistose, già immortalate da Albrecht Dürer (suo l’acquerello con lo scarabeo del 1505 al Getty Museum), Francesco Stelluti ( Melissographia, 1625), Wenceslaus ( Muscarum scarabeum, 1646), Robert Hooke ( Ant, 1665); Jan van Kessel ( Natura morta con frutta e insetti, 1679), Emile-Alain Seguy ( Insectes, 1926)...
Lo stesso Hirst dello squalo in formaldeide nel 2009 ha dato il via alla sua serie Entomology Paintings : centinaia di varietà di insetti, dalle farfalle alle coccinelle, immersi nello smalto lucido e disposti in modo da formare architetture coloratissime, che testimoniavano la grande passione di Hirst per la storia naturale e per quelle creature che, come ha più volte detto, «rappresentano più di ogni altra la fragilità della vita e l’iridescente bellezza della morte» (non a caso l’artista britannico si è ispirato alla Divina commedia, scegliendo per i suoi lavori nomi come Limbo, Inferno, Purgatorio o Acheronte).
Con questi presupposti non è difficile considerare il libro che Enzo Gatti, Marialuisa Dal Cortivo e Monica Sommacal hanno dedicato ai coleotteri, la famiglia più numerosa tra gli insetti, come qualcosa di molto simile a un catalogo d’artista. Sono 1.596 le specie trattate e fotografate una per una: un’incredibile sequenza di antenne, zampe, ali, occhi rudimentali. E soprattutto di coloratissimi esoscheletri appartenenti a creature dai nomi assai complicati: rosso rame per la Neocrepidopera crassicornis; blu iridescente per la Magdalis phlegmatica; verde e viola per la Calosoma sycophanta; cobalto con striature cangianti per l’Apteropeda orbiculata; arancio e azzurro con effetto martellato per l’Anthaxia nitidula; scarlatto per il Lapheros ruberos; giallo a pois neri per la Psyllabora vigintiduopunctata; totally black per il Darcus parallelopipedus; effetto pelliccia di astrakan per Smicronyx jungermanniae.
Nato dalla collaborazione tra il Corpo forestale dello Stato, l’Ufficio territoriale per la biodiversità di Belluno, le Riserve naturali di Vincheto di Celarda e Val Tovanella, il Giardino botanico delle Alpi Orientali di Monte Faverghera (tutti nel territorio bellunese), il volume con le sue oltre 900 pagine nasce prima di tutto come un testo tecnico-scientifico di incredibile valore, visto che per realizzarlo ci sono voluti 35 anni (i primi esemplari raccolti dagli autori risalgono al 1981, ma sono stati presi in considerazione anche coleotteri risalenti agli anni Cinquanta del secolo scorso). Trentacinque anni trascorsi dai tre ricercatori a raccogliere insetti con il «retino da sfalcio» o, in alternativa, utilizzando metodi come l’aspiratore a depressione. Oppure attraverso la ricerca diretta: sotto le pietre, lungo le rive dei fiumi, nel terriccio (a colpi di setaccio), in mezzo alle cataste di tronchi («meglio se tagliati di recente ed emananti un forte profumo di resina»), nelle grotte, nell’acqua di stagni e di paludi (dove «si fa uso di normali colini da te»). Una sorta di infinita (o quasi) performance che fa venire in mente Mount Olympus, lo spettacolo di 24 ore filate messo in scena da Jan Fabre; The artist is present di Marina Abramovic (sei giorni seduta, prima al Moma di New York e più di recente al Pac di Milano); la video-installazione The Clock che ha fatto vincere a Christian Marclay un Leone d’oro alla Biennale di Venezia.
Un manuale affascinante anche per i non addetti ai lavori, realizzato nel segno di una biodiversità della quale, nel glossario, viene data una definizione attualizzata: «La molteplicità degli organismi viventi, nelle loro differenti forme, e dei rispettivi ecosistemi, che comprende l’intera variabile biologica di geni, specie, nicchie ecologiche, ecosistemi». E sorprende scoprire che le 101 famiglie prese in esame (in base al Catalogue of Palaearctic Coleoptera di Löbl & Smetana, 2003-2013) siano presenti all’interno di tre riserve (più una piccola parte, 20 su 1.596, nelle zone immediatamente limitrofe), che quindi, da sole, rappresentano il 70% dell’intero patrimonio italiano di coleotteri. Ennesimo esempio, per i curatori, di eccellenza italiana.
Sospeso tra il Systema Naturae di Linneo e la lezione di Darwin, questo catalogo fa però venire immediatamente in mente il De rerum naturae di Lucrezio; ma a voler essere più profani persino l’inquietante Phenomena di Dario Argento: film uscito nel 1985 in cui si raccontavano le capacità investigative di lucciole e altro, pellicola per la quale erano stati utilizzati 40 milioni di insetti allevati per l’occasione. La lettura riserva persino spunti comici: gli aliplidi, ad esempio, non sono buoni nuotatori, pur essendo insetti d’acqua, perché muovono le zampe posteriori alternativamente e quindi non con la sincronia di un paio di remi. Mentre le graziose coccinelle si nutrono di afidi, comprese quelle colonie normalmente accudite dalle formiche che le Coccinellidae (questo il nome della famiglia) stordiscono e rendono momentaneamente inoffensive con la secrezione di sostanze tossiche e irritanti.
Certo è che, alla fine del viaggio proposto da Gatti, Dal Cortivo e Sommacal, si coglie appieno la fascinazione che queste creature, solo all’apparenza fragili, hanno suscitato sugli artisti: tra i più appassionati alcuni emergenti come Julia Oldham e Brandon Ballengée, tra i protagonisti nel 2013 all’Arsenal Gallery di New York della collettiva Notched Bodies: Insects in Contemporary Art. Ma ritornano anche le parole di una delle sorelle del grande van Gogh che nelle sue memorie (pubblicate in Italia da Skira) aveva raccontato una delle passioni di Vincent (autore tra il 1889 e il 1890 di una serie di dipinti intitolati Farfalle): andare lungo il fiume, con un barattolo di vetro e il retino da pesca, per catturare gli insetti d’acqua, coleotteri dal dorso lucido, insetti con grandi occhi tondi e zampe storte, che avrebbe poi conservato in una piccola scatola rivestita di carta bianca, ciascuno con la sua etichetta in olandese e in latino. «Tutti – scriveva Elizabeth – avevano nomi difficili, impossibili da ricordare, ma Vincent li conosceva tutti». Questo volume, c’è da crederci, gli sarebbe molto piaciuto.