La Lettura, 10 aprile 2016
Nello scontro tra occidente e islam vincerà la tecnologia
L’economia di mercato favorisce il tipo di cultura che serve al potenziamento dell’apparato produttivo e quindi all’incremento del profitto privato. Le forme culturali prive di questo rapporto con la produzione economica restano emarginate. Se ne può prevedere l’estinzione. Lucida e documentata conferma di questa situazione, in ambito universitario italiano, un recente articolo di Ernesto Galli della Loggia ( I sommersi e i salvati nell’università senza passato, sul «Corriere» del 20 marzo): la riduzione dell’organico dei docenti universitari si fa sentire molto meno nelle discipline direttamente connesse all’industria (ingegneria, medicina, giurisprudenza – a questo gruppo credo appartengano anche le scienze economiche). In quelle diversamente orientate la riduzione è più pesante. Non sono soltanto le discipline storiche, o quelle «astratte» come la filosofia, ma persino quelle matematiche, informatiche, fisico-teoriche, biologiche, geologiche, nella misura in cui non sono immediatamente applicabili all’ambito economico.
La propensione dell’economia capitalistica per la cultura «utile» è pressoché inevitabile: ogni quota di finanziamento di quella ritenuta inutile riduce le disponibilità per l’altra, riduce i vantaggi che quest’altra può dare alla produzione di merci e alle transazioni finanziarie, quindi riduce l’incremento del capitale privato. Nelle società avanzate l’economia è oggi la forza vincente; le leggi sono fatte dai vincitori; inverosimile, dunque, che la dimensione economica indebolisca sé stessa finanziando la cultura inutile, soprattutto in un tempo di crisi economica come l’attuale.
Tuttavia questa maniera di servirsi della cultura, da parte del capitalismo, non è forse un suo ancor più grave indebolimento o addirittura un suo andare verso l’estinzione? Un declino che non sarebbe nemmeno glorioso, visto che i modi in cui è giustificata la separazione tra cultura utile e inutile sono quasi sempre forme ingenue di filosofia. I filosofemi con i quali si sostiene che l’unica dimensione autenticamente razionale, e quindi utile, è quella scientifica ignorano che oggi la scienza è specializzazione e che pertanto non può esistere alcuna specializzazione scientifica in cui si mostri che il sapere non specialistico non è autenticamente razionale e utile o, addirittura, non ha alcun valore. Proponiamo alcune considerazioni che consentano di rispondere alla domanda fatta qui sopra.
Per il capitalismo, utile è la cultura capace di guidare la tecnica: la cultura scientifica. Affinché l’incremento del profitto sia costante e sempre più veloce, è necessario che sempre più ampia e veloce sia la produzione economica. È la tecnica moderna a fornire al capitalismo questi caratteri, con una potenza mai prima conosciuta dall’uomo. Quell’incremento richiede, oltre alla produzione, la distruzione. Il capitalismo è stato appunto definito da un suo grande estimatore, l’economista Joseph Schumpeter, «distruzione creatrice»: distruzione delle forme obsolete della produzione. Ma la tecnica è capace di ben altro. Come apparato nucleare può distruggere il mondo; come biotecnologia può riconfigurare l’esser uomo. Oltrepassa ogni Limite. Considera quindi irrilevante interessarsi del passato, incapace di dare all’uomo la potenza che essa è invece in grado di realizzare. E il capitale ritiene di poter cavalcare la tigre della tecnica.
Ma il passato ammonisce la tecnica e chi ritiene di potersene servire. Esistono, ammonisce, Limiti inviolabili. Soprattutto le religioni incarnano il passato. Nonostante la crisi che a loro volta stanno attraversando, sono un punto di riferimento per miliardi di persone. Per il cristianesimo voltare le spalle al passato significa voltarle alla storia della salvezza, cioè all’incarnazione del Verbo; non le si possono voltare nemmeno al sapere filosofico (d’accordo in questo, sia pure in modo profondamente diverso, con quanto accadeva nell’U), essendo esso a costituire i preambula fidei, ossia la base che nell’uomo accoglie la rivelazione di Cristo. E anche la teologia islamica, come quella cristiana, affonda le proprie radici nella filosofia greca. Ma poi è la stessa tradizione filosofica a mostrare a sua volta alla scienza e alla tecnica l’Ordinamento del mondo dal quale nemmeno ad esse è consentito prescindere.
Di fronte alle ammonizioni del passato la replica della tecno-scienza non può essere che debole. Non solo, come si è detto, per la debolezza filosofica che le compete, ma anche perché la tecno-scienza riconosce ormai di non essere verità assoluta, ma un agire che più di ogni altro è in grado di trasformare il mondo. Si comprende così come mai molti scienziati, rendendosi conto del carattere delle loro discipline, recuperino la forma religiosa del passato (preferendola a quella filosofica, molto più complessa) e si dichiarino, appunto, uomini di fede.
D’altra parte, nella sua essenza tendenzialmente nascosta – nel suo sottosuolo – il pensiero filosofico del nostro tempo è effettivamente capace di mostrare (lo vado indicando da tempo) la debolezza sapienziale del passato, cioè l’inesistenza di quei Limiti che l’agire umano non dovrebbe violare perché Dio è il Limite supremo. Il passato è grandioso, ma è un tentativo destinato a fallire. Non per questo va dimenticato: si possono prendere le distanze da esso solo se lo si guarda in faccia.
Si produce in tal modo una situazione straordinariamente imprevedibile. La filosofia è il sapere più inutile e più «astratto», si pensa. (Lo pensava anche Aristotele, ma nel senso, diceva, che essa non è una serva). Ma il sapere più inutile svela l’impossibilità di ogni Limite dell’agire. Fin quando la tecno-scienza ignora tale impossibilità, può rifugiarsi sotto le grand’ali di Dio o del capitalismo e farsi guidare da esse. Può diventare cioè la loro serva; e la sua capacità di oltrepassare Limiti, la sua potenza, viene frenata, limitata, indebolita.
Tuttavia quell’impossibilità la tecno-scienza può venire a conoscerla. (Si può anzi mostrare che è destinata a conoscerla). E sapendo di essere libera diventa libera realmente. Le crescono le ali ed è essa a spiccare il volo. Sapendo della propria potenza diventa realmente potente. Fino a che non lo sa, non lo è; così come, fino a che non sa di essere ricco, uno vive da povero. Per quanto la cosa possa sembrare inverosimile, è il sapere più inutile a rendere realmente potente scienza e tecnica, consegnando loro lo spazio dove possono correre. E, si ripeta, per sapere concretamente l’insostenibilità delle sapienze del passato è necessario conoscerle, cioè conoscere il passato, riuscire a vedere la configurazione storica del mondo. Ma il nostro non è ancora il tempo in cui la civiltà della tecnica, riuscendo a sentire la voce del sottosuolo filosofico degli ultimi due secoli, può realizzare la propria potenza. È il tempo intermedio dove l’economia capitalistica – la gestione oggi più potente della potenza tecno-scientifica – servendosi della tecnica, favorisce la cultura utile e crede di potersi disinteressare del passato e della sua cultura.
In questo modo il capitalismo toglie alla tecnica la possibilità di ascoltare la voce di quel sottosuolo e quindi di sviluppare la propria potenza; e indebolendo la tecnica indebolisce sé stesso. Imbocca la strada che lo conduce verso l’estinzione, perché in un mondo sempre più pericoloso, dove le moltitudini vedono nel capitalismo il nemico che non intende spartire con altri i propri beni, il perpetuarsi del suo indebolimento lo conduce verso la morte. Crede di essere in grado di combattere e vincere i propri nemici; nel fondamentalismo e nel terrorismo islamico vede forme degenerate del passato; ma trattenendosi in quel tempo intermedio – rimanendo sé stesso! – appartiene al passato che esso crede di lasciarsi alle spalle. D’altra parte, uscendo da quel tempo per sviluppare la maggiore potenza (uscendo da sé stesso), il capitalismo cessa di vivere.
Oggi, ampi settori dei popoli poveri non sono più guidati (e contenuti) dall’Unione Sovietica, ma dall’islam, che nel capitalismo vede Satana e spinge contro di lui le moltitudini – sebbene l’islam non veda che, rispetto a sé come alla religiosità cristiana, il Satana autentico è la voce del sottosuolo di cui stiamo parlando, nel suo chiamare la tecnica per liberarla. Tale voce ha diritto di dire che «Dio è morto» – di dirlo con una forza da cui la tradizione dell’Occidente, che include l’islam, è vinta.
Il rapporto tra islam e tecnica è quindi analogo a quello tra capitalismo e tecnica. Come il capitalismo, anche l’islam è in conflitto, oltre che con l’esterno, anche al proprio interno: sunniti e sciiti; fanatismo religioso che conduce al suicidio e uso della religione per motivi economico-politici o per vantaggi personali; terrorismo artigianale e uso della tecnica moderna contro gli infedeli. In quest’ultimo caso, l’islam avrebbe le maggiori probabilità di successo, tuttavia non solo è molto in ritardo rispetto alla gestione capitalistica della tecnica ma a sua volta alla tecnica pone Limiti, spesso ancora più rigidi. Quindi la indebolisce e nel conflitto contro il capitalismo imbocca a sua volta la strada che lo conduce verso la propria estinzione.
I due antagonisti corrono verso la morte. L’Occidente moderno è però più potente. Inoltre il capitalismo, che appartiene all’Occidente in cui si è fatta sentire la voce del sottosuolo della filosofia, può incominciare a sentirla ben prima dell’islam e giungere così al massimo della potenza. Ma, nel momento in cui il capitalismo si imponesse su ogni avversario e fosse il vincitore, in quel momento avrebbe cessato di vivere perché a vincere non sarebbe esso, ma la tecnica liberata dai Limiti, quindi anche da quelli che anch’esso, per vivere, le impone.