ItaliaOggi, 9 aprile 2016
Roma si candida alle Olimpiadi 2024 mentre deve ancora pagare gli espropri per quelle del 1960
La corsa al Campidoglio, per l’elezione del nuovo sindaco di Roma, assomiglia sempre più a una commedia di Carlo Verdone, dove gag e cinismo si mescolano con il fatalismo tipico di una città immutabile, che si crede eterna. Così, di fronte al debito mostruoso del Comune (12 miliardi), c’è chi come Mario Sechi, nella sua rubrica quotidiana su Italia Oggi, invoca l’arrivo della Troika, convinto che nessuno dei «personaggetti» in gara sia all’altezza della sfida. Insomma, una cura di lacrime e sangue, stile Grecia. Un dramma. Ma ecco che sulla scena irrompe la procura di Roma, a cui l’Inail ha segnalato le presunte malattie professionali di una quarantina di autisti dell’Atac, l’azienda municipale di trasporto. Roba seria? Giudicate voi.
In base ai certificati sanitari dei medici di famiglia e delle Asl, i 40 autisti Atac soffrono di ernie del disco, cervicali croniche o dolori di schiena: patologie della spina dorsale provocate dalla cattiva manutenzione dei bus e dalle buche disseminate lungo le strade della capitale. Dunque, secondo l’Inail, malattie professionali, di cui qualcuno deve rispondere. La pm Maria Bice Barborini ha subito aperto un’indagine per lesioni colpose, senza però indicare l’ipotetico colpevole. Tuttavia i giornali di Roma, in testa il Messaggero, non hanno perso tempo per le conclusioni: «Qualora le indagini accertassero che la carente manutenzione delle strade e dei bus siano le cause delle malattie, l’Atac e il Campidoglio potrebbero essere investite da cause per risarcimento danni». Un onere imprecisato, visto che «il numero degli autisti colpiti è destinato a moltiplicarsi», ma in ogni caso da sommare alle altre spese che gravano sul Campidoglio e al suo debito stratosferico.
Già, il debito. Anche qui, tragedia e farsa vanno a braccetto. Nei giorni scorsi, Silvia Scozzese, manager competente e stimata, investita di una carica molto speciale («commissaria straordinaria per il piano di rientro del debito pregresso di Roma»), convocata dalla Camera dei deputati per un’audizione, ha fatto il punto sulle finanze capitoline. O meglio, ha cercato di farlo, perché lei stessa ha ammesso che è tuttora impossibile dire con precisione come si sia formato il debito di 12 miliardi. Per ora, l’unica cosa certa è che questo debito impone un piano di rientro che durerà fino al 2048, cioè per altri 32 anni, al ritmo di 500 milioni l’anno, di cui 300 milioni saranno versati dallo Stato (attingendo alle tasse di tutti gli italiani), e 200 milioni a carico dei contribuenti romani, gravati per questo dalle addizionali Irpef più alte in Italia. Se questi versamenti saranno rispettati, ha assicurato Scozzese, il debito sarà «sostenibile», e niente default.
Tuttavia, dopo avere indagato per mesi, la commissaria Scozzese ha aggiunto che le zone d’ombra del bilancio comunale sono ancora numerose, alcune a dir poco incredibili. Prendiamo la bad company che Giulio Tremonti, ex ministro del Tesoro, creò nel 2008 per salvare il Capidoglio dal default. Allora era stato appena eletto sindaco Gianni Alemanno, ma i debiti venivano dalle gestioni precedenti di Francesco Rutelli e di Valter Veltroni. Si parlò di 22 miliardi, poi ridotti a 16, infine a 12, in attesa di «accertamenti definitivi». La Scozzese, già assessore al bilancio della giunta di Ignazio Marino, subentrata al primo commissario della bad company, Massimo Varazzani, ha provato a fare questi benedetti accertamenti. Ed è qui che il dramma diventa farsa.
Basti dire che il Campidoglio è indebitato, ma non sa bene con chi. Per esempio, deve ancora pagare i terreni espropriati nel 1957 per la costruzione del Villaggio olimpico per i giochi del 1960, ma non sa chi sono i creditori. Dunque, Roma si è candidata alle Olimpiadi del 2024 senza avere finito di pagare le spese per quelle del 1960 (56 anni fa!). Altro caso. Per realizzare lo Sdo (Sistema direzionale orientale, peraltro neppure iniziato) e altre infrastrutture, tra il 1950 e il 1990 il Comune ha compiuto migliaia di espropri; nel suo sistema informatico sono tuttora giacenti duemila pratiche espropriative, ma nel 43% dei casi non è stato ancora individuato il soggetto creditore. E l’onere per regolarizzare questa partita, dice Scozzese, sarà di almeno un miliardo.
La sciatteria amministrativa è stata per decenni la cifra identitaria del Campidoglio. Per il condono edilizio del 1985, vi sono ancora 240 mila pratiche da esaminare, che si sommano alle 50 mila ancora giacenti per il condono 2013, con milioni di incassi potenziali andati in fumo. Quanto all’Ici, l’evasione ha dimensioni sconosciute. Basti pensare che l’Ater, l’azienda che gestisce le 42 mila case popolari del Comune, non l’ha mai versata dagli anni Novanta: 72 milioni di arretrati, che il commissario Francesco Paolo Tronca sta cercando di farsi pagare mediante il sequestro, chiesto e ottenuto, dei conti correnti della stessa Ater. Una guerra dentro casa, che segnala un cambio di passo salutare. Idem per lo sfratto della mitica sede del Pci di via dei Giubbonari, che l’affitto al Comune non l’ha mai pagato, neppure dopo che al Pci è subentrata di Ditta. Segno che anche le farse, prima o poi, finiscono. E vince la ragione.