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 2016  aprile 10 Domenica calendario

Cronaca dell’irresistibile ascesa di Urbano Cairo

Il sindacato dei giornalisti ha reagito con una nota preoccupata all’annuncio dell’offerta con cui Urbano Cairo può prendere il controllo di Rcs. «La compravendita dei giornali non può essere considerata alla stregua delle altre transazioni finanziarie – hanno scritto i vertici della Fnsi – per questo occorrono nuove norme che tutelino con più rigore l’autonomia delle redazioni ed il diritto dei cittadini ad essere informati». È vero però che, ancora più dell’operazione di integrazione tra la società che controlla la Stampa e il Secolo XIX nel gruppo l’Espresso annunciata il mese scorso, la scalata lanciata da Cairo mostra come l’industria dell’informazione italiana stia vivendo un passaggio a suo modo epocale: nella profonda crisi del settore si stanno affermando i cosiddetti “editori puri”. Se per anni è stato visto come un problema il fatto che i giornali italiani fossero in mano ad aziende con interessi che avevano poco a che fare con l’editoria – costruttori di automobili, banchieri, immobiliaristi e via dicendo – le integrazioni che si stanno prospettando in queste ultime settimane possono produrre una situazione in cui i primi tre giornali generalisti d’Italia ( Corriere, Repubblica e Stampa) sono sotto il controllo di gruppi che hanno nell’editoria la loro attività centrale.
In questo senso Urbano Cairo, alla soglia dei 60 anni, è un caso atipico di editore puro italiano (il Torino calcio è al momento l’unica sua attività non editoriale...). Entrato dopo la laurea alla Bocconi nel gruppo Publitalia, la concessionaria pubblicitaria di Fininvest, l’imprenditore milanese ma di origini piemontesi si è messo in proprio nel ‘95 avviando una sua concessionaria per alcuni magazine del gruppo Rizzoli. Dopo quat- tro anni ha iniziato ad affiancare alla vendita di spazi pubblicitari il controllo diretto delle testate, comprando i periodici della Giorgio Mondadori. È a fianco di quel gruppo di testate con nomi storici come Airone e Bell’Italiache nasce il Cairo editore, straordinariamente abile nell’avviare e chiudere mensili e settimanali. Tra le sue testate ha ’campioni’ come il femminile F e il settimanale di gossip Di Più. Nel 2015, con una media di 1,9 milioni di copie a settimana, vendeva più riviste Cairo Editore che Rcs e l’Espresso messi insieme. E poi c’è La7, che si è dimostrata il suo capolavoro finanziario. Pur di liberarsi di una televisione che le faceva perdere un centinaio di milioni all’anno, Telecom nel 2013 ha pagato Cairo per comprarsela: gliela ha ceduta quasi gratis accompagnandola con una dote di 100 milioni di euro di ricapitalizzazione. Un incredibile affare per l’ex collaboratore di Berlusconi, che tagliando i costi senza peggiorare il palinsesto ha riportato l’azienda in utile operativo già nel 2014.
Non c’è da sorprendersi, allora, se oggi la ’piccola’ Cairo Communication può realisticamente pensare di conquistare la ’grande’ Rcs. L’azienda del patron del Torino, quotata a Piazza Affari dal 2000, è in ottima forma finanziaria (11 milioni di profitti netti su 260 milioni di ricavi nel 2015, una cassa di oltre 100 milioni di euro) mentre l’editore del Corriere e della Gazzetta dello Sport pur avendo venduto la storica sede e in attesa del completamento della cessione dei libri a Mondadori è schiacciata da quasi 480 milioni di euro di debiti impossibili da pagare con una generazione di cassa vicina allo zero. Così a livello di capitalizzazione oggi il gruppo Cairo vale una volta e mezzo Rcs (370 milioni di euro contro 235).
È in questa situazione che l’editore ha potuto farsi spazio all’inter- no dell’azionariato entrando con un 2,8% con l’aumento di capitale del luglio del 2013 per poi portarsi all’attuale 4,6% e lanciare l’offerta per il controllo. È un’offerta cartacontro- carta (0,12 azioni Cairo per un’azione Rcs) che offre agli azionisti un premio del 20% e può portarlo senza troppi ostacoli a controllare una quota di larga maggioranza. D’altra parte i grandi soci stanno lasciando: gli Agnelli, che hanno il 16,7%, distribuiranno le azioni tra i loro azionisti, Mediobanca, che ha il 9,9%, aspetta l’occasione migliore per vendere, e lo stesso vogliono fare UnipolSai (4,6%), Intesa Sanpaolo (4,2%) e i cinesi di ChemChina, che hanno eredito la quota di Pirelli (4,4%). Nessuno sembra intenzionato a rimanere in un gruppo dalle prospettive economiche incerte che rischia di dovere fare una nuova ricapitalizzazione. Nessuno tranne Cairo, che vuole applicare all’azienda la stessa cura con cui ha guarito La7: deciso taglio dei costi (escluso il personale) per ’ottimizzare’ l’attività.