La Stampa, 10 aprile 2016
Londra si rivolta contro Cameron con un panama in testa
Cappelli panama in testa e collane di fiori al collo, migliaia di persone sono scese in piazza a Londra per chiedere le dimissioni di David Cameron, implicato nello scandalo «Panama Papers» sui paradisi fiscali. A nulla è servito, poche ore prima, il mea culpa del premier britannico, che ha ammesso di aver gestito male la vicenda. «La colpa è mia», ha detto.
La manifestazione di fronte a Downing Street chiude una delle settimane peggiori da quando Cameron è alla guida del governo. Già alle prese con un partito spaccato e la crisi dell’industria dell’acciaio che mette a rischio migliaia di posti di lavoro, il leader conservatore ha dovuto ammettere di aver beneficiato di un fondo offshore creato dal padre. Quel che è peggio, la gestione del caso è stata un disastro di pubbliche relazioni: l’ammissione è arrivata dopo giorni di mezze verità e dichiarazioni maldestre, seguite al tentativo iniziale di liquidare la vicenda come una «questione privata». E il momento non poteva essere peggiore: Cameron ha davanti a sé la battaglia più importante della sua vita politica, il referendum sulla Brexit del 23 giugno. Per un premier debole, che ha subito un duro colpo all’immagine, sarà più difficile convincere i cittadini a votare a favore della permanenza del Paese nell’Unione europea.
Cameron ha spiegato che la sua reticenza iniziale era legata alla memoria del defunto padre Ian, un broker il cui fondo offshore, Blairmore Holdings, è al centro dello scandalo. Ma ha cercato di assumersi le sue responsabilità. «Non date la colpa a Downing Street o a oscuri consiglieri, la colpa è mia», ha detto parlando a una riunione dei Tory. «Avrei dovuto e potuto gestire meglio la vicenda, imparerò la lezione», ha aggiunto, promettendo di pubblicare a breve le dichiarazione dei redditi degli ultimi anni. Cameron ha venduto la sua quota nel fondo nel 2010, prima di diventare premier, per 30 mila sterline. L’accusa non è di evasione fiscale, ma di comportamento immorale e ipocrisia, inevitabile per un politico che ha promesso linea dura contro i paradisi fiscali. Lo scandalo nuoce inoltre alla sua popolarità perché ricorda al Paese, dopo anni di austerity e con nuovi tagli al welfare in programma, quanto il premier sia ricco, privilegiato e, secondo i detrattori, lontano dai problemi dei cittadini. «Tutto Parole, Niente Tasse», diceva uno dei cartelli dei manifestanti (tra loro anche la popstar Lily Allen), che hanno invocato per Cameron la stessa sorte toccata al premier islandese, costretto a dimettersi in seguito alla pubblicazione dei «Panama Papers».
Con il referendum che si prevede apertissimo, gli euroscettici possono gioire dei guai di Cameron. Cattive notizie per il premier arrivano anche dall’economia, con la produzione industriale a febbraio in ribasso dello 0,5% su base annua, il calo più significativo dall’agosto 2013. Il deficit commerciale con l’Ue nei tre mesi fino a febbraio è di 23,8 miliardi di sterline, il più alto mai registrato.