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 2016  aprile 10 Domenica calendario

«L’importante è restare in sella: perché il mio prezzo l’ho già pagato. Ora voglio solo stare davanti». Intervista a Dovizioso

  Andrea Dovizioso è tutto in un fotogramma: il pollice in su mostrato ironicamente a quell’Andrea Iannone che lo ha appena buttato a terra, a un passo dall’impresa, e intanto i due rotolano da paura sull’asfalto di Termas de Rio Hondo.
«Quando mi sale l’adrenalina a mille io non perdo la testa. Anzi. Mi sento più lucido, razionale. Cadendo i nostri sguardi si sono incrociati: volevo spiegargli tante cose, ma chissà se anche lui è come me...».
Quando finalmente vi siete fermati, subito la corsa verso la Ducati, affondata nella ghiaia.
«Ho provato a rianimarla. Ad accenderla. Ma sono stato due volte sfortunato. Allora l’ho spinta sino al traguardo, rischiando di farmi scoppiare il cuore per lo sforzo e il caldo: perché anche tre punticini sono importanti, se l’obiettivo è il mondiale».
A una curva dal traguardo era secondo in classifica, appiccicato a Marquez. Invece.
«Un disastro. Non tanto psicologicamente: perché io so di essere arrivato secondo, l’altra domenica. Il resto non conta. Però in un campionato così equilibrato, con tanti campioni e i dettagli che fanno la differenza, dopo il secondo posto all’esordio è un delitto mortale buttare via una gara così».
La Ducati adesso è sullo stesso piano di Yamaha e Honda. Un capolavoro.
«Non l’ho mai sentita tanto forte, da quando sono alla Rossa. Possiamo fare grandi cose. Ma preferisco aspettare l’Europa e circuiti meno veloci, come Jerez, prima di un giudizio definitivo: mancano piccole cose, siamo quasi in paradiso».
E nel 2017 arriva Lorenzo. Un Andrea si farà da parte.
«Jorge è un fuoriclasse, ha battuto Valentino a parità di moto e questo dice tutto. Iannone è veloce, lo scorso anno – anche se ho fatto più podi di lui – mi ha messo dei dubbi: ma con questo inizio di stagione, è tutto più chiaro. E la Desmosedici è finalmente competitiva, non ci si lavora più per svilupparla».
Grazie anche a Dovizioso, che in silenzio ha fatto da cavia per mille esperimenti.
«Non mi va di raccontare. Io faccio il mio lavoro, che per fortuna è anche la mia passione. Le chiacchiere, i ghirigori, le spacconate le lascio agli altri».
Un tipo strano, quel Dovi.
«Non sono omologato come il resto dei piloti. Valentino ha creato un modello, irripetibile. La maggior parte del paddock lo imita, perché non ha personalità: i fumetti sul casco, la ricerca della battuta a tutti i costi, quel tono aggressivo ma finto scanzonato. No, non fa per me».
Sembra di sentire Stoner.
«Ero d’accordo con tante cose che diceva Casey. Ma lui era troppo estremista. Quando lascerò la MotoGp? Potrebbe essere in qualsiasi momento, senza rimpianti: ho vinto un mondiale, sono stato con i più forti, ho sempre dato tutto. Ho 30 anni: non ho bisogno dei riflettori, per vivere bene. Sono sereno, dentro».
Merito di uno psicologo.
«Ci lavoravo già tempo fa, quando ero alla Honda. Ho imparato molto, adesso ci vediamo per qualche seduta ogni tanto. Conoscere meglio te stesso fa benissimo: ti apre la porta del mondo. Ti fa alzare il pollice mentre voli sull’asfalto, poi correre a spingere la moto. Iannone dice che si scusa? Non mi importa più».
Qualcuno provoca: lei sarebbe una grande spalla, non un vincente.
«Avrò meno percentuali di altri, ma quest’anno per il titolo me la gioco. E poi non mi interessa che mi giudichino il migliore, il più figo. Lo so quanto valgo, non ho paura dello specchio».
Valentino, Marquez e Lorenzo: dopo la passata stagione, questo sport non è più lo stesso.
«La tensione c’è, la senti in ogni momento: sul podio, nelle conferenze stampa. Però quei tre me li aspettavo più aggressivi tra loro, in pista. Forse è solo questione di tempo. L’importante è non finire in mezzo ad una rissa, restare in sella: perché il mio prezzo l’ho già pagato. Ora voglio solo stare davanti».