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 2016  aprile 10 Domenica calendario

Chi sono le eredi di Agatha Christie

Da La ragazza del treno di Paula Hawkins alle avventure del commissario Adamsberg di Fred Vargas, da Alicia Giménez Bartlett a Patricia Cornwell, dalla cinese Diane Wei Liang a Maj Sjowall, da PD James a Patricia Highsmith alla grandissima Ruth Rendell, sino alle fiabe nere che la russa Ljudmila Petrusevskaja brandisce come arma per sfuggire alla censura: se solo si lancia un’occhiata superficiale allo sterminato elenco delle autrici che, nel corso degli anni, hanno conquistato il cuore di legioni di lettori, viene da concludere che il romanzo poliziesco è affare di donne almeno quanto lo è di uomini. Eppure, non si usa dire che crimine, violenza, stragi e ammazzatine sono roba da maschi che grondano testosterone? Che le donne amano i racconti sentimentali, le storie d’amore, la tenerezza? Banalità. Luoghi comuni che la storia del genere poliziesco smentisce clamorosamente. Se c’è un settore dove non si avverte la necessità delle “quote rosa” è quello del racconto criminale: semmai, siamo noi maschietti a dover coltivare qualche – legittima – preoccupazione. E non da oggi.
La novità di adesso, però, è che alle storiche signore in giallo si affianca una nuova generazione di autrici. Meno letterarie, meno raffinate, ma molto in sintonia con i tempi che corrono, con l’era social che viviamo: i loro sono thriller, più che mistery; adrenalina pura pagina dopo pagina; il loro ritmo è mozzafiato, come se già sapessero di dover passare dalla pagina scritta al cinema. Capofila di questa ondata sono la britannica Hawkins, col suo successo planetario da milioni di copie; la nuova rivelazione inglese, Renée Nkinght, con La vita perfetta; la Gyllian Flynn de L’amore bugiardo, diventato (appunto) un film di successo.
Ma perfino loro, con il loro spirito del tempo, si inseriscono in una tradizione antica. «Ci sono criminali uomini e criminali donne, ovviamente. L’esperienza però mi suggerisce che quando una donna si dedica al crimine, lo fa con una ferocia molto superiore alla media dei maschi». Così si presenta Mrs. G., prima investigatrice certificata nella storia del poliziesco al femminile, nel romanzo La donna detective. Siamo nel 1864. Le donne non possono entrare in polizia, ma l’autore del romanzo, tal Andrew Forrester jr., è evidentemente convinto che una protagonista femminile possa incontrare il gusto di un pubblico che sta scoprendo il fascino della cronaca nera ed è avido di sapori forti. E inventa un personaggio capace di non farsi sottomettere dalla notoria prosopopea maschile. Tentativo ardito, e forse giustificato dal fatto che – come oggi ritiene la critica il sedicente Forrester era, in realtà, una Lady Forrester. Ma la donna detective, per così dire, “non sfondò”: i tempi non erano maturi. Al punto che una raffinata autrice del calibro di Dorothy L. Sayers giudicava difficile, se non impossibile, scrivere gialli con donne protagoniste: perché da un lato le donne tendono a esagerare con l’intuito, distruggono la quieta logica investigativa della persona comune, e finiscono per diventare irritanti; dall’altro, per dimostrarsi toste e combattive, si cacciano in situazioni pericolose, mettendo a rischio il malcapitato – e necessario – partner maschile. Sino agli anni Trenta, dunque, il mondo del racconto criminale prestò ossequio a una legge paradossale: mentre sempre più scrittrici si dedicavano al genere, spesso con ottimi risultati, sempre più raramente si incontravano donne detective. Finché arrivò una certa Agatha Christie. E la storia cambiò. Fu Agatha Christie, secondo Winston Churchill, «la donna che, dopo Lucrezia Borgia, visse più a lungo a contatto con il crimine», a inventare il primo archetipo investigativo femminile di successo: Miss Marple. Correva l’anno 1930. Miss Marple fonda la propria innegabile capacità deduttiva su una profonda conoscenza dell’animo umano. Per conquistarla, non è necessario essere esploratori: lei non si è mai mossa dal villaggio di Saint Mary Mead (Santa Maria al Ruscello, nelle esilaranti traduzioni autarchiche). Perché la natura dell’uomo è una, unica e indivisibile. Alla fine c’è una sola spiegazione a ogni delitto: il Male sta nell’uomo, il Male è l’uomo stesso.
Da Miss Marple in avanti diviene chiaro che le scrittrici possono surclassare gli scrittori e che il crimine può essere declinato al femminile come al maschile. Nel corso del tempo, si è posta più volte la questione se esista comunque uno specifico del giallo al femminile. Questione oziosa. Pensate alla crudeltà e alla violenza di storie come Il talento di Mr. Ripley o La morte non sa leggere – scritte da donne – e pensate alla profondità a volte ricca di languore di un John Banville. Nel poliziesco le specificità non stanno nel sesso di chi scrive, ma si annidano nella rappresentazione dei personaggi. Se Miss Marple era un’arzilla pensionata, le sue nipoti sono giovani, aggressive, controverse. Sono le Kay Scarpetta, le Carrie Mathison di Homeland, le Sara Lund di The Killing. Non fanno più affidamento sul solo intuito – come lamentava la Sayers ma padroneggiano le tecniche investigative più avanzate e non provano nessuna sudditanza verso i loro partner. Anzi. Sono sempre più spesso guerriere in un universo di maschi sbigottiti, determinate e all’occorrenza feroci in un contesto di diffusa indifferenza. Se hanno qualche fragilità, la debellano pagando il prezzo più alto. Non si arrendono e non si piegano quando tutto intorno a loro crolla. Se abbattute, si rialzano e riprendono la lotta. Non rassicurano. Inquietano.