il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2016
Un epilogo beffardo per Angelo Scola, il cardinale che fu Papa solo per un attimo
Avrà una casetta che s’affaccia sul lago di Como per la pensione, valle di Malgrate, in provincia di Lecco. Dov’è nato. Senz’altro un poetico epilogo di carriera. Ma è pure beffardo, se non proprio spietato per chi, tre anni fa, non di più, sperava di affacciarsi su piazza San Pietro. Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, allievo di don Luigi Giussani, fondatore del movimento cattolico di Comunione e Liberazione, compirà 75 anni il 7 novembre. Quel giorno dovrà inviare una lettera a papa Francesco per rinunciare all’incarico. Non è una formalità: è un obbligo. Jorge Mario Bergoglio non è intenzionato a concedere deroghe. Certo, può capitare. Il limite a 75 anni l’ha rammentato con un documento firmato da Pietro Parolin, il segretario di Stato: “L’episcopato non è un’onorificenza, ma un servizio”. Il mandato a vita è soltanto per il pontefice. O almeno, finché Joseph Ratzinger non ha abdicato, era una consuetudine, già ripudiata sette volte nei secoli addietro. Francesco può accettare o rifiutare le dimissioni di Scola, e così prolungarne la permanenza nella diocesi ambrosiana di un paio di anni.
È un’ipotesi, plausibile. Non è un’ipotesi, però, che riguarda Scola. Per un duplice motivo: come la cronotassi dei cardinali dimostra, da Giovanni Battista Montini (Paolo VI) a Carlo Maria Martini, Milano è una sede preziosa per la Chiesa e il tempo di Scola è esaurito; lo stesso Scola è stanco, un po’ isolato, rinnegato persino dagli amici che l’adulavano all’ingresso in Conclave. In Vaticano, la spiegazione è condensata in un aforisma: “Scola è poco ciellino per i duri e puri di Comunione e Liberazione, quelli che fanno affari e non di rado finiscono indagati e troppo ciellino per gli avversari che s’annidano a Milano”. Con la fallita elezione in cappella Sistina è fallita la stagione di Cielle, pronta a saldare il governo terreno (nazionale e lombardo) con il governo vaticano. Ormai è scontato l’addio di Scola al Duomo, anche se non sarà immediato, agli inizi di novembre: il calendario che studiano in Vaticano è un po’ lasco, per scongiurare tensioni con la Conferenza episcopale italiana già in subbuglio per le riforme di papa Francesco. Questa è la bozza di agenda per il momento: se non già in autunno, commiato non più tardi della primavera 2017. Il cardinale di Malgrate potrebbe avere l’onore di celebrare il Natale di quest’anno sotto la Madonnina, poi c’è l’incognita visita di papa Francesco a Milano, prevista per metà maggio, annullata all’improvviso lo scorso dicembre e rinviata a un’imprecisata data nel 2017 per “gli impegni di Bergoglio durante il Giubileo”. Papa Francesco sfugge a Scola, è un’abitudine: una volta ha annullato l’udienza a Santa Marta per stanchezza, un’altra ha disertato l’incontro al Policlinico Gemelli e non ha mai accettato l’invito per l’Expo.
Appare eccessivo definire cattivi i rapporti fra l’ex arcivescovo di Buenos Aires e l’arcivescovo di Milano: semplicemente, i rapporti sono inesistenti. E neanche in Conclave, scandagliato fra i segreti, pare sia davvero emerso un confronto per il papato fra il gesuita e il ciellino.
Nonostante le campagne di stampa e le manovre di potere, per i cardinali europei riuniti fra gli affreschi di Michelangelo, l’italiano Scola non era un candidato convincente e dunque vincente. Soltanto per un delirante comunicato di Mariano Crociata, ex segretario dei vescovi italiani, Angelo Scola è stato papa. Per un attimo. Quello di una figuraccia epocale: mentre i fedeli conoscevano il “papa venuto dalla fine del mondo”, Crociata si affannava per i complimenti, formulati con “grande gioia e riconoscenza”. Rimosso a settembre del 2013, Crociata è arcivescovo di Latina, Terracina, Priverno e Sezze. Monsignor Domenico Pompili, il responsabile della comunicazione dei vescovi di Crociata, guida la diocesi di Rieti. Ancora per un anno, al vertice resiste Angelo Bagnasco e, soprattutto, resiste in Cei una fronda contro Bergoglio. Per la Cei è presto, per Scola è l’ora. Per la successione, papa Francesco ha un metodo: nessun trasferimento di clamore – Scola arrivava dalla sede patriarcale di Venezia – ma paziente ricerca di un vescovo di provincia o di un prete, che possa ricalcare i fasti di Schuster o Martini.
E poi Bergoglio è il pontefice che ha promosso Matteo Zuppi a Bologna e Corrado Lorefice a Palermo: due riformisti al posto di due conservatori, Carlo Caffarra e Paolo Romeo. A Roma il rinnovamento s’è inceppato. Il cardinale Agostino Vallini, 76 anni la prossima settimana, è inamovibile perché di mezzo c’è il Giubileo. Anche il pontefice deve traccheggiare.
Il Vaticano è l’ultima residenza in Occidente di un sovrano assoluto, i cardinali non possono sfiduciare il Papa. Il giudizio, postumo, spetta a Dio.
Ma non sempre l’erede di San Pietro agisce d’imperio: se il compromesso è deplorabile, la diplomazia è un’antica virtù. Anche il Papa, per equilibri interni e politici, assume posizioni mediane. Forse non se n’è accorto, ma Vallini è già commissariato.
Francesco, infatti, ha puntellato la diocesi di Roma con la nomina a vescovi ausiliari di Paolo Lojudice e Angelo De Donatis. In San Giovanni in Laterano, per l’ordinazione episcopale, Bergoglio ha consacrato De Donatis davanti a Vallini: “Nella Chiesa di Roma vorrei affidarti i presbiteri e i seminaristi”. Il futuro.