Libero, 11 aprile 2016
Le nuove rotte e tutti i numeri dell’immigrazione
Nei primi tre mesi del 2016 in Italia sono sbarcate 19.827 persone, il doppio di quante ne sbarcarono nei primi tre mesi del 2015. Sono numeri bassi rispetto a quello che succede in Grecia, dove nello stesso periodo sono sbarcate 152.117 persone, tante quante ne sono arrivate in Italia in tutto l’anno scorso. Ma mentre in Grecia il flusso sembra rallentare, in Italia la dinamica degli sbarchi sembra in accelerazione. Soltanto nell’ultima settimana di marzo sono sbarcate tra Sicilia e Calabria 5.388 persone, un aumento del 700 per cento rispetto ai 667 della settimana precedente.
Sono numeri che preoccupano molto i nostri vicini europei. La ministra dell’Interno austriaco Johanna Mikl-Leitner ha dichiarato che quest’anno gli arrivi in Italia potrebbero sfiorare i 300 mila, un raddoppio rispetto alle cifre dell’anno passato. Ma sono cifre credibili, davvero il 2016 potrebbe essere l’anno record nella storia degli sbarchi del nostro paese? «È evidente che chiusi i canali dell’est Europa il flusso di migranti cercherà un nuovo sfogo e il Mediterraneo centrale potrebbe tornare ad essere la porta principale dell’Europa», spiega Daniele Frigeri, direttore del «Centro Studi di Politica Internazionale» (CESPI). Frigeri si riferisce ai due eventi che nei mesi scorsi hanno portato alla chiusura della «rotta balcanica», che l’anno scorso è stata percorsa da circa 800 mila per arrivare dalla Turchia all’Europa centrale. A febbraio, Austria e paesi balcanici si sono accordati per chiudere le loro frontiere e fermare la rotta.
Il sigillo definitivo su questa strada è stato un mese dopo, con l’accordo tra Turchia e Unione Europea che porterà al rimpatrio quasi automatico di chiunque arriverà sulle coste greche. Se il flusso che prima si dirigeva in Grecia si spostasse verso l’Italia, il nostro paese avrebbe molte difficoltà a fare come Austria e paesi balcanici: «Il mare è per definizione un confine molto meno controllabile di un confine terreste: non possiamo alzare una rete su tutte le nostre spiagge», spiega Frigeri.
I SIRIANI
Per il momento, però, non sembra che l’aumento degli arrivi in Italia sia collegato alla chiusura della «rotta balcanica». «Questa è una lettura «idraulica» dei flussi migratori: messa una toppa su una rotta, il flusso si sfoga da un’altra parte», spiega Ferruccio Pastore, direttore del «Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione» (FIERI): «Ma le migrazioni non sempre sono un fenomeno così meccanico».
Per i siriani, infatti, non è affatto semplice passare da una rotta all’altra e spostarsi dalla Turchia alla Libia oppure direttamente al nostro paese. Quando nel 2014 i siriani erano uno della nazionalità più numerose ad arrivare in Italia, utilizzavano la rotta che portava dalla Turchia in Algeria per via aerea e poi in Libia attraverso il Sahara. Da più di un anno, però, l’Algeria, su pressione dei paesi occidentali, ha sospeso il regime di libera circolazione che aveva adottato nei confronti di diversi mediorientali e ha iniziato a richiedere il visto ai cittadini siriani che vogliano arrivare nel paese, di fatto bloccando questa rotta.
Le agenzie di stampa hanno riportato in questi giorni la notizia di trafficanti turchi che iniziano a vendere viaggi dalle coste del loro paese a quelle della Puglia, ma si tratta di un percorso lungo e costoso, molto diverso dal viaggio di poche centinaia di chilometri tra Libia e Sicilia o quello di pochi chilometri tra Turchia e isole greche. Il governo italiano, comunque, non sottovaluta la possibilità che questa possa diventare una nuova rotta di migrazione. A Taranto è stato già realizzato un «hotspot» per identificare e accogliere i migranti che dovessero arrivare nella regione.
Che la teoria «idraulica» per il momento non funzioni è dimostrato anche da un dato di fatto molto chiaro: le persone arrivate in Italia nei primi tre mesi del 2016 provengono quasi tutte dall’Africa occidentale e sono in gran parte migranti economici. Tra di loro non ci sono né i siriani né gli afghani che costituivano il grosso di chi affrontava la rotta balcanica.
L’AFRICA NERA
Ma allora cosa ha causato il raddoppio degli sbarchi in Italia nei primi tre mesi dell’anno? È probabile che in paesi come Nigeria, Mali e Gambia sia in atto un fenomeno di «emulazione». Come ha raccontato un cittadino della Costa d’Avorio intervistato dall’Organizzazione Mondiale per i Migranti: «Alcuni miei amici sono andati in Europa e quando sono tornati erano pieni di soldi e hanno comprato automobili per le loro famiglie. Un giorno ho pensato: “Non sono diverso da questa gente, dovrei fare quello che hanno fatto loro”». L’immigrazione, spiega Pastore, «è un fenomeno sperimentale e incrementale: se funziona, genera un bacino più ampio di potenziali migranti». In altre parole, quello che succede è che i migranti arrivati a destinazione comunicano ai loro conoscenti le loro storie di successo e se trovano un lavoro inviano rimesse nel loro paese, con cui amici e parenti possono tentare il viaggio a loro volta. Ma è realistico lo scenario di cui parla la ministra dell’Interno austriaco, 300 mila sbarchi entro la fine dell’anno? «Tecnicamente non è impossibile – spiega Pastore – i trafficanti libici hanno risolto il problema del rifornimento di natanti importando gommoni che sono facili da occultare e da trasportare e non costituiscono una grossa perdita se vengono sequestrati». Secondo l’ammiraglio Credendino, che comanda l’operazione navale di controllo delle coste meridionali italiane, in Libia ci sono attualmente più di 400 mila persone tra migranti intenzionati a salpare e rifugiati di altri paesi che si trovano da anni in Libia.
L’INCOGNITA TRIPOLI
«Il punto cruciale – spiega Frigeri, direttore del CESPI – resta la stabilità dell’area, dalla Libia alla Siria: più si accelera il processo di stabilizzazione più si riduce la possibilità di generare flussi di richiedenti asilo». Per l’Italia il teatro più importante da tenere d’occhio è la Libia, dove da poco si è insediato un nuovo governo di unità nazionale che sta cercando faticosamente di riprendere il controllo del paese, dove imperversano milizie, gruppi terroristici e bande di trafficanti. La speranza dell’Italia è che il nuovo governo si dimostri abbastanza forte da ripristinare il controllo dei confini e che sia disposto e in grado di garantire assistenza nella regolazione dei flussi migratori.
Ci sono anche altri benefici che potrebbero arrivare da una stabilizzazione della situazione. Fino al 2011, la Libia era un paese d’immigrazione. Grazie alle sue risorse energetiche, a un territorio vasto e ad una popolazione molto ridotta, era una delle mete preferite per i lavoratori non qualificati dell’Africa subsahariana. Dalla caduta del regime e con lo scoppio della guerra civile, i migranti hanno lasciato la Libia a migliaia, alcuni diretti in Europa, altri verso i loro paesi di origine. Se la Libia dovesse ritornare ad aver un economia funzionante è probabile che possa diventare un tampone in grado di assorbire parte dell’immigrazione diretta verso il nostro paese.
Ma anche in questo scenario ideale ci sono dei rischi, spiega Pastore: «Non dovremmo delegare il compito del controllo dei flussi migratori al governo libico in maniera cieca: sia per motivi umanitari e morali, ma anche per ragioni di stabilità della situazione ed evitare che i migranti vengano usati come strumento politico». In altre parole, il rischio è che cercando di risolvere troppo in fretta il problema degli sbarchi, l’Italia finisca con il consegnare al governo libico un’efficacia arma di ricatto: la possibilità di riversare a comando sulle coste del nostro paese migliaia di persone. «Quello che per anni avvenuto sotto il regime di Gheddafi», conclude Pastore.