Il Messaggero, 11 aprile 2016
La festa per i settant’anni di Caterina Caselli, Casco d’oro più che mai
Caterina Caselli è un caso unico. Chissà cosa ne pensa lei, ma la sua seconda vita, quella da infaticabile talent scout, nemica della musica del tanto al chilo, è di portata assai superiore all’impatto che ha avuto sulla nostra pop music come Casco d’oro. E non è certo poco, visto che Nessuno mi può giudicare, è un manifesto degli anni d’oro della nostra rivoluzione pop di cui Caterina, assieme a Patty Pravo, è stato il simbolo femminile. Il fatto è che poi, da discografica, ha mostrato un talento sopraffino, limato da una voglia di crescere e di coltivarsi che l’ha trasformata nella signora della nostra canzone, capace di inventare personaggi come Andrea Bocelli, Elisa, i Negramaro, gli Avion travel, Malika Ayane, Raphael Gualazzi, da ultimo Giovanni Caccamo. Fiuto, intelligenza e costanza. L’unica, fuori dal circuito delle multinazionali e dal girotondo dei talent, capace di costruire, sostenere, curare, seguire e incoraggiare nuovi artisti.
I MERITI
Un merito che le va riconosciuto proprio ora che compie 70 anni. Età che ieri Caterina ha celebrato, sia pure a sua insaputa, con un megasurprise party milanese, a cui hanno preso parte i suoi artisti, da Bocelli a Elisa, impegnati a cantare le sue canzoni. Una festa accompagnata dal debutto, sempre ieri, su Radio 2 di un programma in cui, con Giovanni Caccamo, che è un ragazzo spiritoso e intelligente, racconta la storia della nostra pop music partendo proprio da Nessuno mi può giudicare, la canzone che 50 anni fa l’ha lanciata a Sanremo. Firmata da due autori tradizionali, come Pace e Panzeri, fece scalpore per il modo, in piena sintonia con l’onda beat montante, in cui la Caselli la cantava (sottolineando versi libertari come «ognuno ha il diritto di vivere come può») e per il celebre caschetto inventato dai parrucchieri milanesi Vergottini, che si erano ispirati a Louise Brooks e ai Beatles. E dire che il pezzo (scritto per Celentano, che però aveva Il ragazzo della via Gluck) doveva essere un tango.
Caterina era appena stata pescata da Ladislao Sugar in quel girone che era il Piper di via Tagliamento, ma aveva già la testa dura, allenata da una gavetta partita a 14 anni nelle balere emiliane (cantava e suonava il contrabbasso): «Non se ne parla proprio, la canto a modo mio», si impose. E ne fece un inno di quegli anni in movimento. Arrivò seconda, dietro la tradizionalissima Dio come ti amo di Modugno. Il successo fu clamoroso. Bissato pochi mesi dopo da Perdono, che vinse il Festivalbar. L’anno successivo Caterina azzeccò la traduzione di I’m a beliver dei Monkees, trasformata in Sono bugiarda e poi, nel 68, registrò la canzone in assoluto più bella del suo repertorio, Insieme a te non ci sto più, dell’allora sconosciuto Paolo Conte.
Concerti, musicarelli, Festivalbar, Cantagiro, televisione: il girotondo del successo allora era questo. Ma Casco d’oro si stancò presto. Un po’ perché cominciò ad annusare il fascino dello star system dietro le quinte delle cose di musica (nel 69 sposò Piero Sugar, figlio di Ladslao, proprietario della Cgd), un po’ perché divenne mamma (Filippo, il figlio, oggi è il presidente della Siae), un po’ perché la ruota girava e lei aveva la sensibilità di accorgersene: «Bisognava fare un 45 giri ogni tre mesi, e ogni volta più forte del precedente. Ero stanca», ha raccontato.
Da allora ha prodotto artisti come gli Area, Pierangelo Bertoli, Mauro Pagani, Paolo Conte, inventato il trio Morandi, Ruggeri, Tozzi e tanti altri. Il gran colpo, però, arrivò nel 95. Con te partirò è l’esempio perfetto dell’arte di costruire un successo mondiale, con Caterina che fa scrivere per Andrea Bocelli un pezzo pop che rieccheggia le suggestioni melodiche delle arie d’opera. E, se in Italia il brano passa inosservato, all’estero fece il botto grazie all’idea di trasformarlo in un duetto con Sarah Brightman, star del Fantasma dell’Opera, e grazie al formidabile lancio in Germania, dove sfondò come sigla di un importante match di boxe.