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 2016  aprile 11 Lunedì calendario

I problemi di Hillary e Bernie alle prese con la metro di New York

Alla vigilia del voto a New York, Hillary Clinton e Bernie Sanders si sono accusati reciprocamente di non essere qualificati per succedere a Obama alla Casa Bianca, prima di rendersi conto che stavano esagerando e di fare marcia indietro. Ma la sfida più bruciante, quella che ha divertito di più i newyorchesi, si è svolta sul metrò. Ansioso di dimostrare che lui, uomo del popolo, si muove coi mezzi pubblici a differenza di Hillary, barricata nelle sue «limousine» blindate, Bernie ha detto che a New York gira in «subway». E come la prendi? gli ha chiesto un giornalista malizioso. «Semplice, compro un token e vado!». Ha riso tutta la città: quei gettoni non esistono più da 13 anni. Nel 2003 sono stati sostituiti da carte elettroniche.
Un «assist» per Hillary che il giorno dopo si è presentata in una stazione del Bronx della linea 4, armata di Metrocard. Non è andata benissimo neanche a lei: evidentemente poco esperta, ha dovuto fare cinque tentativi prima di sbloccare i tornelli. Altro sarcasmo e ieri sera, intervenendo a sorpresa a uno spettacolo comico in città con Bill de Blasio, la ex «first lady» si è scherzosamente sfogata: «Smettila di litigare su carrozze e cavalli (lo scontro del sindaco coi vetturini di Central Park) e aggiusta questi benedetti ingressi del metrò».
Non succedeva da molto tempo che le primarie di New York, Stato prevalentemente democratico che vota molto tardi nella stagione elettorale, avessero un peso rilevante per la scelta del candidato alla Casa Bianca dei due partiti. Ma quest’anno la gara è ancora molto incerta e ben tre dei cinque candidati sui due fronti sono newyorchesi di nascita o di adozione: Sanders, nato e cresciuto a Brooklyn, Donald Trump, cresciuto nel Queens prima di «sfondare» a Manhattan, e Hillary Clinton diventata cittadina di New York (e anche senatrice dello Stato) dopo aver lasciato la Casa Bianca.
La battaglia è più incerta sul fronte repubblicano, ma non a New York, visto che lo sfidante di Trump, Ted Cruz, ha fatto harakiri attaccando in tv Donald per i suoi valori newyorchesi: ora si sta arrampicando sugli specchi spiegando che voleva dire altro.
Anche per Bernie la corsa è tutta in salita, benché qui giochi in casa. Con la vittoria di ieri in Wyoming, il senatore del Vermont ha sconfitto l’ex segretario di Stato in otto delle ultime nove votazioni, ma il conteggio dei delegati è impietoso: calcolando anche i «superdelegati» scelti dal partito, Hillary è già a quota 1756, cioè a tre quarti del percorso per arrivare al «quorum» che garantisce la «nomination» democratica. Bernie, invece, è ancora a 1068. La vittoria del Wyoming fa solo immagine: tanto la Clinton quanto Sanders si sono aggiudicati 7 dei 14 delegati in palio. Per farcela, Bernie dovrebbe vincere nettamente a New York, negli Stati del mid-Atlantic che votano subito dopo (a partire dalla Pennsylvania) e anche in California, a giugno. In California i sondaggi lo danno ancora dietro a Hillary ma in forte recupero. A New York le rilevazioni sono tutte nettamente favorevoli alla Clinton (54 a 40 è la media).
Sanders fa campagna ovunque, riempie le piazze, entusiasma i giovani, ha migliaia di volontari che lavorano per lui. Cerca il voto dei neri andando anche ad Harlem, ieri all’Apollo Theatre, tempio della cultura afroamericana. Ma il suo quartier generale – un vecchio magazzino pieno di ruggine a Gowanus, archeologia industriale di Brooklyn trasformato dalla «gentrificazione» nel nuovo distretto «cool» di New York – è un monumento alla buona volontà, all’impegno contro il gigante Hillary. Il cui quartier generale, due miglia più in là, è una fortezza ricca e impenetrabile nel grattacielo di Pierrepont Plaza. Anche qui un gran brulicare di ragazzi al lavoro, pareti che sono un’ode al volontarismo, musica techno. Ma lei qui non viene mai: lavora da un ufficio affittato a Midtown.
Vicino al portone alcuni neri in tuta sono appoggiati al muro. Ai piedi, cartelli che inneggiano a Hillary. Andate a manifestare per lei? «Non so», risponde uno: «Ce li hanno dati lì, in quel sottoscala, al sindacato dei carpentieri». Le comunità nere e ispaniche anche a New York voteranno, più o meno compatte, più o meno organizzate, per lei.