la Repubblica, 11 aprile 2016
Meraviglioso il concerto dei Rolling Stones a Cuba, ma per la libertà serve ancora tempo
Per poter cogliere l’importanza dell’esibizione degli Stones di fronte a centinaia di migliaia di cubani in visibilio è necessario comprendere ciò che il rock‘n’roll ha significato per chi vive sotto una dittatura comunista.
Negli anni Settanta la Cecoslovacchia era, al pari di altri Stati comunisti, un luogo tetro, opprimente e triste in cui mediocri uomini di partito facevano il bello e il cattivo tempo e il piacere creativo veniva represso dall’imposizione di una coltre di comunismo. Il rock’n’roll era considerato una forma nociva di decadenza capitalistica. I dischi dei Rolling Stones e di altri gruppi occidentali erano banditi, eppure venivano introdotti illegalmente in Cecoslovacchia e in altri Paesi dell’Europa dell’Est, dove erano apprezzatissimi dai giovani amanti della musica rock – tra i quali vi era Václav Havel, il dissidente e drammaturgo che un giorno sarebbe diventato presidente ceco.
Quelle sonorità proibite – forti, anarchiche, sensuali – offrivano agli oppressi una via di fuga dalla mestizia della vita di tutti i giorni. Il rock’n’roll consentiva alla gente di immaginare, anche se solo per qualche attimo fugace, come ci potesse sentire ad essere liberi. Ed è per questo che le autorità consideravano quella musica come qualcosa di profondamente sovversivo.
Quando, dopo la caduta del regima comunista, Havel offrì a Frank Zappa un incarico ufficiale nel suo governo democratico, questi rimase colpito dalla proposta, e non fu il solo. Il gesto di Havel testimoniava quale fosse il peso che la musica aveva avuto per persone che, come lui, erano state costrette ad ascoltarla di nascosto, correndo il rischio di farsi arrestare.
La musica rock produce uno stato di estasi. L’estasi permette di lasciarsi andare, e ciò non è sempre un bene. Anche l’isterismo collettivo dei raduni nazisti rappresentava una forma di estasi, così come il comportamento dei tifosi di calcio che talvolta può sfociare nella violenza. L’effetto prodotto dalla musica rock non è certo paragonabile al fervore religioso che porta ad esprimersi in lingue sconosciute. Tuttavia i due fenomeni sono collegati tra loro, ed è questo il motivo per cui i custodi ufficiali dell’ordine sociale sono così spesso determinati a vietare pratiche simili. Già nel 380 a.C. Platone metteva in guardia contro l’allontanamento dalle forme tradizionali di musica. L’innovazione musicale, scriveva in Repubblica, e in particolare le sonorità nuove ed accattivanti, rappresentano una minaccia all’ordine sociale. Egli riteneva inoltre che il mancato rispetto della legge iniziasse con intrattenimenti musicali non convenzionali, e consigliava alle autorità di porre fine a simili esibizioni.
Lo scorso mese Mick Jagger ha detto in spagnolo ai suoi fan cubani che «i tempi stanno finalmente cambiando». Si tratta di belle parole, ma il raggiungimento della libertà politica a Cuba potrebbe richiedere tempi lunghi. E l’esempio della Cina dimostra che l’edonismo individuale può essere compatibile con l’autoritarismo politico. (Gli Stones si sono già esibiti a Shanghai, anche se le autorità politiche hanno insistito per passare preventivamente al vaglio i testi delle loro canzoni). Si tratta di un primo passo: il rock ‘n’ roll è ufficialmente sbarcato a Cuba. Jagger ha reso il dovuto omaggio alle tradizioni musicali estatiche dell’isola, e i cubani già sanno ballare. Il prossimo passo, ben più importante, si avrà quando gli autocrati si faranno da parte.