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 2016  aprile 11 Lunedì calendario

Immortalare tutti gli animali prima che si estinguano: il progetto Photo Ark di Joel Sartore

Il pappagallo panciarancia si mostra, vanitoso, di profilo. L’echidna istrice esibisce una specie di linguaccia. Il ghepardo si mette di tre quarti e fa lo sguardo corrucciato. Lo stesso del macaco, che punta l’obiettivo. A vederli con sguardo umano, gli ultimi due sembrano preoccupati. E a leggere la lista rossa della Iucn (International Union for the Conservation of Nature and Natural Resources, una organizzazione non governativa incaricata dall’Onu di monitorare la conservazione della natura) ne avrebbero tutte le ragioni: come molti altri animali fotografati da Joel Sartore per il progetto Photo Ark, sono prossimi all’estinzione. E se si sono messi in posa per il National Geographic è perché l’uomo trovi il coraggio di guardarli in faccia almeno una volta, prima della loro scomparsa dal pianeta Terra per causa sua.
Photo Ark è un’arca di Noè fotografica, la stessa a cui il Vaticano ha attinto per le immagini proiettate sulla facciata di San Pietro all’apertura dell’ultimo Giubileo. Sartore spiega qui perché ha scelto di rappresentare gli animali uno a uno, come fotomodelli sotto ai flash di uno shooting in studio, tutti con lo stesso sfondo, nero o bianco: «Ho voluto mostrare la bellezza e l’intelligenza nei loro occhi. Molti di loro non sono mai stati famosi, non sono mai finiti sui giornali: comparire in Photo Ark è un’occasione unica, per loro, di farsi conoscere prima di scomparire per sempre».
L’obiettivo è che non facciano la fine del dodo, l’uccello simile a un colombo che abitava l’isola di Mauritius e si è estinto alla fine del Seicento per causa umana. Del dodo oggi non conosciamo bene nemmeno la forma e i colori. Le sue rappresentazioni e i pochi esemplari impagliati furono infatti ricostruiti più con l’aiuto della fantasia che con il rigore di uno scienziato, o di un fotografo di scienza. E oggi del dodo non conserviamo neanche un’immagine esatta. Ma le foto dell’Arca «sono tutte della stessa taglia anche per un’altra ragione», spiega Sartore. «Voglio mostrare che gli animali sono tutti ugualmente importanti. Non esistono animali “carini”, perché lo sono tutti. E tutti vivono sullo stesso nostro pianeta e dobbiamo capire che sono tutti parte della natura, esattamente come noi».
Essere fotografati da Joel Sartore, per un animale, è un bel privilegio, perché Sartore è uno dei fotografi di natura più famosi al mondo. Uno di quelli che ha scalato le montagne, è penetrato nelle foreste e ha percorso chilometri di ghiacci dell’Alaska per immortalare gli angoli remoti del pianeta. Poi, dieci anni fa, la decisione di partire per il suo progetto più impegnativo: fotografare tutte le dodicimila specie conservate negli zoo del mondo, di cui circa una su tre a rischio estinzione. «Ci vorranno venticinque anni», spiega. Il progetto è nato quando, a un certo punto della sua vita, Sartore non ha più potuto allontanarsi da casa come prima: tre figli piccoli e il tumore della moglie lo hanno costretto a non poter andare oltre, con la macchina fotografica, gli zoo americani partendo da casa sua, nel Nebraska. Poi la moglie è guarita, i figli sono cresciuti e il progetto Photo Ark ha cominciato a fare il giro del mondo. E oggi, a 54 anni, Sartore ha già fotografato circa seimila animali, pappagallo panciarancia compreso.
Qualche risultato è arrivato: «Il progetto ha contribuito alla salvezza del passero locustella, un uccellino marrone di cui erano rimasti pochi esemplari. Grazie a Photo Ark, il governo americano ha deciso di impegnarsi a finanziare un programma specifico per questo volatile». Del resto è difficile sensibilizzare il mondo su una questione se questa resta astratta. Una trentina di anni fa, quando cominciammo a essere attenti al tema delle estinzioni e iniziammo a capire che spesso la causa eravamo noi esseri umani, avevamo davanti tutti l’immagine del panda. Con i suoi occhioni neri e il suo ramo di bambù, era un simbolo: «Tutto questo è necessario. Perché noi umani abbiamo bisogno di storie per capire i problemi. Abbiamo bisogno di innamorarci di un animale per preoccuparci di lui».
Perciò quella di Sartore è una corsa contro il tempo. Certe volte è arrivato all’ultimo secondo: ha fatto in tempo a fotografare, ma un istante dopo l’animale si è estinto. È successo con il rinoceronte bianco settentrionale: «Della morte dell’esemplare che avevo fotografato, e della conseguente estinzione della specie, mi hanno informato i biologi. È stato difficile, davvero triste. D’altra parte, mi ha motivato ancora di più a finire in fretta il mio lavoro prima che sia troppo tardi». Adesso Sartore è a metà del progetto, «e voglio arrivare fino in fondo. Lavoro da solo: sono veloce, perché sono abituato a fotografare animali, li conosco bene, ormai». E alla domanda se abbia un animale preferito, la risposta è quasi ovvia: «Il prossimo che fotograferò».
Il prossimo potrebbe essere una tigre, una ranocchia, un insetto o un pesce tropicale. E Sartore arriverà, con i suoi sfondi neri e bianchi, e con i suoi minuscoli set fotografici per gli animali più piccoli. «A volte sono gli zoo a chiamarmi, perché sanno di ospitare uno degli ultimi esemplari, e capiscono che bisogna procedere in fretta». A volte, invece, non fanno in tempo: «È successo che l’animale si estinguesse prima che io arrivassi. Ricordo di ranocchie e uccelli. È un momento difficile, questo, per essere animali».
Ma in generale è difficile essere un vivente non umano. E allora, perché non fotografare anche le piante in via di estinzione? «Non ho abbastanza anni da vivere. Ma è una buona idea, qualcuno dovrebbe proprio farlo».