Corriere della Sera, 10 aprile 2016
Davigo eletto alla guida dell’Anm non è una buona notizia per Renzi
Per arrivare al traguardo hanno impiegato un’intera giornata di trattative, che in alcuni momenti hanno sfiorato la rottura, ma alla fine ce l’hanno fatta: Piercamillo Davigo è il nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Uno dei simboli di Mani Pulite, l’icona di «una stagione di riscatto sociale del Paese» come proclama uno dei colleghi che l’hanno eletto, guiderà le toghe italiane per il prossimo anno, alla testa di una Giunta unitaria che comprende tutte le correnti dell’Anm: i «centristi» di Unità per la costituzione che hanno raccolto più consensi alle ultime consultazioni; la «sinistra giudiziaria» raccolta nel cartello di Area (Magistratura democratica e Movimento per la giustizia); la «destra» di Magistratura indipendente e di Autonomia e Indipendenza, il gruppo staccatosi da Mi di cui fa parte proprio Davigo.
L’accordo tra le diverse componenti prevede la rotazione ai vertici dell’Anm. Comincia dunque Ai con Davigo, affiancato dal segretario assegnato a Unicost (il pm romano Francesco Minisci), dal vicepresidente Luca Poniz (Area) e dal vicesegretario (Mi). Tra un anno gli incarichi saranno redistribuiti tra le correnti. Il nome del primo presidente di questa nuova stagione non è mai stato in discussione, ma il dibattito s’è focalizzato sui nove componenti della Giunta: Unicost ne pretendeva 4 ma s’è dovuta accontentare di tre, come Area, Mi ne ha avuti 2 mentre ad Ai, che pure ne voleva 2, è rimasto un solo posto, quello del presidente. Come dire che Davigo basta e avanza; anche perché se una perplessità c’era stata nei suoi confronti da parte degli altri gruppi, riguardava il rischio di personalizzazione della carica, considerata la storia, la visibilità e il carisma del prescelto. Ma era stato lui stesso, in precedenza, a cercare di fugare i dubbi: «La sovraesposizione e il protagonismo possono dipendere da due fattori: o si approfitta delle proprie funzioni per farsi pubblicità, e si commette un illecito, o si ha la disgrazia di imbattersi in qualche imputato che fa notizia».
A lui è toccato il secondo caso, spiega Davigo, che promette: «Ho maturato una certa esperienza nel comunicare che posso insegnare agli altri. E allora ben venga la rotazione. Io ci credo fermamente, così come credo nell’unità da coltivare attraverso la condivisione delle idee. Farò del mio meglio per essere il presidente di tutti». Quanto al clima di rinnovata tensione governo e magistratura, soprattutto con l’indagine di Potenza che ha provocato le dimissioni dell’ex ministro Federica Guidi, Davigo commenta: «I momenti difficili ci sono da quando io faccio il magistrato». Poco prima aveva detto: «Non esistono governi amici né governi nemici, ferma restando pretesa del rispetto della nostra dignità». E a questo proposito ha ricordato l’indagine milanese sul sequestro dell’imam egiziano Abu Omar, contro la quale diversi governi imposero il segreto di Stato, definendola «una pagina gloriosa della magistratura italiana». A Davigo sono arrivate le congratulazioni del ministro della Giustizia Andrea Orlando e del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini.
«Far intendere che i magistrati lavorano poco, e da questo dipende il disastro della giustizia è una bugia». La replica di Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Associazione magistrati, al premier Matteo Renzi arriva dritta e immediata. Per il passato, quando il capo del governo intervenne sulle ferie troppo lunghe dei giudici, e forse per il presente, visto che ripete a ogni piè sospinto che le sentenze tardano troppo ad arrivare. «Noi lavoriamo tanto, e lavoriamo bene», insiste Davigo, riscuotendo l’applauso delle toghe che hanno deciso di eleggerlo a loro rappresentante anche per fronteggiare meglio la nuova tensione che s’è creata con il potere esecutivo. E riferendosi al «Brrrr... che paura» con cui il presidente del Consiglio ribatté alla protesta dell’Anm sul taglio unilaterale delle vacanze, un anno e mezzo fa, dice: «Non mi è piaciuto per niente». Poi spiega: «Noi rivendichiamo meriti e invochiamo rispetto da parte di tutti. Prima di fare il magistrato ho lavorato in Confindustria e mi occupavo di relazioni sindacali; non ho mai visto un datore di lavoro che decide la riduzione delle ferie senza consultare la controparte».
Ma da allora le questioni sul tavolo sono aumentate, con nuove emergenze. Dopo l’inchiesta di Potenza si ricomincia a parlare di riforma delle intercettazioni: «Siamo alle solite, si pensa di curare la malattia cambiando il termometro. Non mi pare un buon sistema...». Stavolta, però, il mirino non pare puntato sull’uso delle microspie da parte della magistratura, bensì sulla pubblicazione delle colloqui registrati sui giornali. Risposta del nuovo leader dell’Anm: «Se nelle intercettazioni pubblicate non c’è attinenza con i reati, o i fatti riportati non sono veri, c’è già la legge sulla diffamazione che si può applicare, quindi non vedo dove sia il problema. Certo però che se i fatti sono attinenti e di interesse pubblico, come i personaggi coinvolti, allora è un altro discorso. Come si può pretendere che non se ne parli?».
L’indagine di Potenza ha portato alla ribalta il reato di «traffico d’influenze», varato nel 2012, e c’è già chi lo contesta. Ma per Davigo quella riforma è stata fatta tardi e male: «Sarebbe bastato aggiungere al millantato credito, punito con una pena fino a 5 anni di carcere, il “vantato credito”, seguendo le indicazioni della giurisprudenza. Invece che hanno fatto? Hanno introdotto il nuovo reato per chi non millanta ma favorisce realmente qualcuno in cambio di utilità, punendolo con la pena fino a 3 anni, cioè meno di chi millanta. Dov’è la logica?».
Nelle sue reazioni il premier Renzi ha difeso l’autonomia del Parlamento nel fare le leggi, mettendosi a disposizione dei magistrati per rivendicare gli emendamenti governativi finiti negli accertamenti dei pubblici ministeri lucani. Anche questa, per Davigo, è una forzatura: «Nessuno si è mai sognato di mettere in discussione il potere legislativo. Il problema è se emergono elementi che fanno sospettare qualcosa di illecito nell’ iter di formazione di certe leggi». In quei casi, per Davigo, è giusto indagare. Ma pure su questo c’è chi ha da ridire: non piacciono i magistrati alla ricerca dei reati. Il neo-presidente delle toghe risponde con una battuta: «Se i reati spuntassero come le margherite nei prati il nostro lavoro sarebbe molto più semplice...».
Insomma, l’antifona è chiara: l’ex pm di Mani Pulite è pronto a rispondere colpo su colpo. E sulla comunicazione confida molto, esplicitando una filosofia quasi renziana: «È essenziale farsi capire. Dicono che dovremmo parlare solo con le sentenze, che spesso sono illeggibili per necessità tecniche. Invece noi dobbiamo essere chiari, con frasi brevi e semplici, per spiegare ciò che altrimenti resterebbe incomprensibile». Né sembra impressionato da una nuova stagione di scontro tra politica e magistratura: «Una volta, in una trasmissione televisiva, mi fu chiesto come si poteva fare per mettere fine al conflitto tra politica e giustizia. Risposi che la soluzione si troverebbe facilmente se i politici smettessero di rubare». E davanti ai suoi colleghi, quasi a illustrazione del programma che intende perseguire nell’anno in cui guiderà l’Anm, afferma: «Non esistono governi amici né governi nemici. Noi dobbiamo tutelare la giurisdizione. Che ci siano dialettica e anche momenti di tensione è pressoché inevitabile. Del resto, come disse Lord Byron (poeta e politico inglese di inizio 800, ndr ) esistono i Paesi in cui le decisioni della magistratura incontrano i favori dei governi, ma non sono i Paesi in cui si vorrebbe vivere».